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Quanto vale la mia azienda? Come effettuare una rapida analisi comparativa

di Anna Fabi

Pubblicato 9 Ottobre 2020
Aggiornato 20 Maggio 2021 15:27

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Un percorso di valutazione aziendale che coniuga teoria e pratica attraverso i multipli di mercato, metodologia flessibile per una prima stima societaria.

Negli ultimi anni il tema della valutazione aziendale è stato spesso analizzato attraverso la lente della teoria finanziaria. In questo articolo, Heber Caramagna (KNET Project) suggerisce invece un percorso in grado di coniugare pratica e teoria, valutando l’organizzazione mediante multipli di mercato

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Due diligence

Citati da primarie banche d’affari, adottati come proxy dalle società di analisi finanziaria, menzionati nei testi dei principali master in finanza d’impresa, i multipli (trading multiples) hanno acquisito nell’ultimo ventennio il plauso di numerosi operatori finanziari intenzionati a valutare le società in relazione al loro mercato di riferimento. L’analisi comparativa con multipli (“trading comps”) è una tecnica cd. “relativa” di valutazione societaria che, sfruttando appunto il concetto di “multiplo”, si fonda su tecniche di benchmarking. Essa muove dall’assunto che organizzazioni operanti nel medesimo mercato condividano un identico modello di generazione rischi e performance.

Valutare quindi una società attraverso l’analisi comparativa significa comprenderne il posizionamento economico-finanziario rispetto a un campione di società a essa comparabili (“peer group”). Per fare questo si analizza dapprima il mercato di operatività dell’azienda, quindi si estrapolano i macro-indicatori ritenuti di maggiore interesse (per l’appunto i multipli) e si associano infine questi ultimi ai ratios aziendali ritenuti maggiormente rilevanti ai fini analitici.

Ciò premesso, non pochi interrogativi cominciano lentamente a farsi strada. Come scegliere un gruppo omogeneo di aziende tra loro comparabili? Quali ratio possono essere ritenuti significativi per le aziende operanti in un medesimo mercato? Come estrapolare i multipli di un settore? Nel prosieguo del testo gettiamo le basi per rispondere alle suddette domande, ipotizzando – al contempo – una progettazione di massima di un’analisi comparativa con multipli.

1. Identificare il peer group

La selezione di un insieme omogeneo di aziende tra loro comparabili è il primo passo di un’analisi comparativa. Se tale attività può apparire semplice, nella realtà dei fatti sconta due ordini di problemi: in primo luogo la difficoltà nel reperire un articolato insieme di organizzazioni operanti in un medesimo mercato e, in secondo luogo, la complessità nel comprendere le società tra loro effettivamente comparabili.

Proviamo a fare un esempio. Volendo stimare il valore di una società produttrice di farina di riso, identifichiamo in principio il settore alimentare della lavorazione cerealicola come primo U.C.C. (Universe of Comparable Companies). Approfondiamo quindi la nostra analisi filtrando le sole società produttrici di farina e, a loro volta, le produttrici di farina di riso (si pensi all’elevato numero di farine che oggi popolano il mercato). Nulla di più semplice sulla carta se non che la nostra classificazione nazionale delle attività economiche (ateco ‘07) cui fanno riferimento la quasi totalità delle banche dati, il più delle volte non permette un dettaglio sufficiente alle nostre finalità (trascurando in questa sede l’attribuzione impropria talvolta operata dai professionisti in sede di iscrizione dell’azienda in camera di commercio).

Nel nostro caso specifico il codice ateco da valutare è il 10.61.30 dove tuttavia scopriamo che le società produttrici di farina di riso vengono classificate insieme ai produttori di riso decorticato, lucido, lavorato, brillato, essiccato e convertito. Non solo, ma ad un’analisi attenta rileviamo che numerosi produttori di farina di riso sono inseriti nel codice 10.61.00 e cioè nella più generica lavorazione delle granaglie che include al suo interno, oltre alla lavorazione del riso, anche la molitura del frumento e di numerosi altri cereali. Come fare dunque ad ovviare il problema? Il mio personale suggerimento è di natura euristica, alla luce della mancanza di una vera e propria “soluzione-panacea”. Il primo passo è quello di formalizzare su carta il maggior numero di operatori che sappiamo operare all’interno di un dato comparto (in questi casi il web, oltre alla conoscenza personale del mercato, mi viene fortemente in aiuto).

Per ciascuna delle organizzazioni identificate (almeno una decina), rileviamo codice ateco e oggetto sociale. Identifichiamo, eventualmente attraverso l’utilizzo di script, le keywords più frequenti contenute nell’oggetto sociale e selezioniamo quelle per noi maggiormente significative (non più di tre in genere). Infine ricerchiamo, attraverso l’utilizzo di database, le organizzazioni con codice ateco coerente con quanto da noi rilevato in sede iniziale e che contengono all’interno del proprio oggetto sociale almeno due delle suddette keywords. Da numerose rilevazioni che ho condotto negli ultimi anni, ho stimato che il suddetto metodo generi una bontà in termini di comparabilità delle aziende superiore all’86%. Identificato il nostro panel di società, non ci resta che affinare il tutto di nostro pugno. Andiamo quindi a eliminare all’interno del nostro campione quelle organizzazioni che presentano un comportamento “fuori media” in termini di prodotti/servizi forniti, mercato di sbocco e clientela target, canali distributivi, dislocazione geografica (in particolare per i business fortemente dipendenti dalla propria ubicazione) e volume d’affari. Eccoci arrivati al nostro peer group definitivo.

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2. Identificare ratio e posizionamento

In questa fase l’elemento essenziale è la capacità di analisi e insight di chi osserva i dati collezionati durante la prima fase. Ogni settore merceologico, difatti, ha le proprie dinamiche e peculiarità. Il comparto edile mostra fisiologicamente elevati livelli di indebitamento, scarsa patrimonializzazione, una forte detenzione di attivi immobilizzati, il tutto a fronte di una struttura dei costi variabile con ridotte marginalità anche a fronte di volumi d’affari crescenti.

Al contrario il mercato delle ICTs presenta mediamente una struttura dei costi rigida, elevati livelli di valore aggiunto con compressione della marginalità dovuta al pesante onere delle risorse umane, buoni livelli di solvibilità a fronte di una struttura patrimoniale concentrata sulla detenzione di attività (e passività) circolanti. Come si può quindi pensare di adottare uno standard per rilevare i fondamentali di settori così differenti tra loro? Anche in questo caso non esiste una risposta univoca e la sola via percorribile è quella, a mio avviso, di cercare “l’intuizione” tramite l’osservazione della documentazione di bilancio per ciascuna delle organizzazioni selezionate durante la prima fase. Il mio personale approccio a questa fase è nuovamente di natura euristica.

Negli anni ho appreso che ottengo risultati migliori quando scompongo il problema in sotto-problemi costituenti (nota tecnica peraltro di problem-solving). Ciò non sempre è possibile ma in questo specifico caso lo è se analizziamo le aziende sotto differenti punti di vista: solvibilità, struttura del capitale, redditività, produttività, livelli di efficienza, andamentale dei tassi di crescita, gestione finanziaria e valutazione in ottica di investimento. Facciamo degli esempi. Per valutare la comparabilità delle aziende sotto la lente della solvibilità possiamo adottare uno tra gli indicatori di liquidità o, alternativamente, il risultato delle politiche commerciali come per esempio il tempo medio di recupero del circolante operativo netto. La struttura del capitale può essere indagata attraverso i ratio di debito o tramite l’incidenza delle diverse fonti di finanziamento sul capitale investito lordo. Analizzare le organizzazioni sotto la lente della redditività può essere fatto ricorrendo a indicatori quali il rendimento sull’investito, la marginalità lorda sul venduto, il margine di profitto o ancora il ritorno sull’equity.

In sostanza, ciò che realmente importa sono due aspetti: estendere l’analisi a quanti più ambiti possibile al fine di ridurre il rischio di concentrare l’indagine su di un perimetro ridotto e, parallelamente, selezionare non tanto i ratios cui si è maggiormente legati (d’altronde si sa, ogni professionista è legato ai suoi indicatori finanziari) quanto quelli che rendono le aziende realmente comparabili tra loro. Detto questo, la nostra analisi sul posizionamento economico-finanziario è pronta.

3. Identificare i trading multiples e valutare

Terminata la seconda fase disponiamo di un set di organizzazioni, ognuna associata ad un discreto numero di indicatori economico-finanziari. Al variare dell’indicatore oggetto di analisi emerge – come ovvio – un posizionamento differente tra le aziende del nostro campione. Ora, la teoria dell’analisi comparativa per multipli (nonché la pratica di numerosi analisti di banche d’affari e fondi di investimento) suggerisce di operare seguendo il seguente processo.

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Analizzare dapprima il posizionamento economico-finanziario dell’azienda che si intende valutare per formarsi un’opinione di massima sulla “forza” della società rispetto ai suoi pari. Valutare in secondo luogo l’enterprise value, ivi inteso come sommatoria dell’equity e della posizione finanziaria netta, per ciascuna azienda. Rilevare il rapporto del suddetto con fatturato, ebitda, ebit ed eps (earnings per share), quindi i punti di massimo, minimo e media dei predetti rapporti. Infine valutare quale rapporto scegliere (supponiamo in questa sede l’enterprise value sull’ebitda) giungendo finalmente a disporre del nostro multiplo (la predetta media) nonché della forchetta entro cui esso può essere contenuto (i precitati punti di minimo e massimo). Anche in questo caso, come già fatto in precedenza, espongo un mio personale approccio che ritengo possa portare ad un’analisi maggiormente accurata.

La prima attività è l’osservazione del posizionamento della società che intendo valutare. Lo faccio cambiando di volta in volta il ratio al fine di comprendere come, al variare di questo, cambi il posizionamento dell’azienda rispetto al suo gruppo dei pari. Un’azienda, per esempio, può essere assimilabile ad altre se analizzata sotto la lente della redditività ma può risultare non comparabile se preso come riferimento un indicatore di solvibilità.

Alternare gli indicatori tra loro consente al professionista di visualizzare come le aziende si posizionino in termini relativi e quali siano i punti di forza dell’una e dell’altra. Eseguo a questo punto alcuni test di correlazione per comprendere quali società mostrino un comportamento simile al variare del ratio scelto. Giungo così a disporre di una matrice di correlazione in grado di mostrarmi quali organizzazioni siano maggiormente comparabili tra loro e in funzione di quali indicatori scelti. A questo punto entra in gioco nuovamente l’intuizione del professionista il quale ha l’onore e onere di scegliere non più di cinque società tra tutte, in base alla comparabilità reciproca sinora analizzata. Procedo con il calcolo dell’enterprise value per ciascuna azienda e mi limito a questo punto a rilevare i rapporti del suddetto con ebitda e free cash flow to the firm (F.C.F.F.), nonché i relativi punti di massimo, minimo e mediana. Ottenuto il multiplo (mediana) e la relativa forchetta (punti di minimo e massimo), lo moltiplico con l’ebitda (o alternativamente il free cash flow to the firm) e pervengo alla valutazione definitiva della società.

Conclusione

L’analisi comparativa con multipli, in quanto tecnica relativa, ha il contro di basarsi esclusivamente sul mercato ed è pertanto potenzialmente affetta da debolezze passeggere o elementi temporanei di forza del mercato stesso. Risente inoltre della difficoltà di reperire organizzazioni pienamente comparabili con la società oggetto di valutazione e, aspetto altrettanto importante, dell’aleatorietà derivante dal fatto che le scelte operate dal professionista possano fortemente viziare la valutazione finale.

D’altro canto la ritengo una metodologia estremamente flessibile, affascinante e veloce. Rispetto a tecniche basate sull’analisi dei flussi attualizzati, risulta più snella e in grado di fornire una prima stima di massima relativamente al valore di una società. L’adozione di questa tecnica come strumento esclusivo di valutazione è rischioso, in particolare in momenti di turbolenza dei mercati (quale l’attuale). Tuttavia padroneggiare la tecnica dei multipli può costituire un insostituibile alleato nei processi di due-diligence societaria.

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Heber Caramagna (h.caramagna@knetproject.comKNET Project