Christine Lagarde, ha dichiarato oggi che la Banca Centrale Europea programma un nuovo rialzo dei tassi, la cui misura sarà comunicata al termine della riunione del consiglio direttivo della BCE del prossimo 27 luglio.
Escludendo un mutamento sostanziale delle prospettive di inflazione, continueremo a innalzare i tassi a luglio.
La presidente BCE ha rilasciato le sue dichiarazioni nel corso del Forum in corso a Sintra, in Portogallo. Analizziamo in dettaglio il suo discorso, da cui traspare non soltanto la scelta di mantenere alti i tassi ma ne spiega anche il perchè, motivando il ruolo delle imprese in questo processo.
Aumento tassi BCE a luglio 2023
Secondo Lagarde, l’impatto dei 400 punti base di incremento finora decisi dall’inizio della crisi inflazionistica, “non si è ancora esplicato appieno” ed è pertanto “improbabile che nel prossimo futuro la banca centrale sia in grado di dichiarare con assoluta certezza che il livello massimo dei tassi sia stato raggiunto”.
Immediata la reazione dei mercati ma anche delle istituzioni. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, si è detto deluso e teme un effetto domino con il rischio che si sfoci nella recessione.
Aumentare il costo del denaro significa mettere le imprese in difficoltà, penalizzando gli imprenditori che vogliono investire: con prestiti a costi troppo alti rinunciano ai loro progetti e aspettano tempi migliori.
Eppure, proprio alle aziende Lagarde ha lanciato una stoccata.
Aziende vittime ma anche colpevoli
Per la numero uno della Banca Centrale Europea, in passato le imprese avevano assorbito l’aumento dei costi a scapito dei propri margini di profitto, per risparmiare i consumatori e preservare le dinamiche della domanda interna, a tutela della crescita economica. Lo scorso anno, invece, le imprese hanno riversato sui prezzi di vendita i maggiori costi sostenuti, preservando i propri profitti.
Le imprese hanno reagito difendendo i propri margini e trasferendo l’aumento dei costi sui consumatori.
La portata dei rincari “a monte” ha consentito alle aziende di non lasciar trasparire fino a che punto gli aumenti dei prezzi per gli utenti finali fossero invece causati da profitti più elevati.
Non solo: la domanda repressa nei settori dopo la ripartenza posto Covid, assieme ai risparmi accumulati e alle politiche espansive in atto, per compensare le restrizioni, hanno permesso alle aziende di alzare i prezzi imposti ai consumatori finali. Di fatto, i profitti delle aziende:
hanno contribuito per circa due terzi all’inflazione interna nel 2022, mentre nei 20 anni precedenti il loro contributo medio era stato di circa un terzo.
Dunque, nella corsa dei prezzi avrebbero giocato un ruolo chiave proprio le aziende, con una dinamica che “ha portato gli shock ad alimentare l’inflazione molto più rapidamente e con forza che in passato”.
Oggi però, con il calo dei prezzi energetici, l’inflazione dei prezzi alla produzione è in calo. Ma ci vorrà tempo per generare un impatto sui prezzi.
Nel frattempo la domanda interna ha registrato una contrazione del 2% negli ultimi due trimestri e si cominciano a vedere i primi effetti dell’inasprimento della politica monetaria. Ed anche la combinazione di freno dei rincari e contrazione della domanda ha prodotto un rallentamento della crescita degli utili delle imprese nel primo trimestre di quest’anno.
I prossimi passi
Per Lagarde, bisogna garantire che le imprese assorbano gli aumenti nei propri margini.
Se la politica monetaria è sufficientemente restrittiva, l’economia può raggiungere la disinflazione complessiva mentre i salari reali recupereranno parte delle loro perdite.
Ma questo dipende proprio dalla politica adottata dalla BCE, che all’inizio smorza la domanda ma solo affinché le aziende smettano di riversare i maggiori costi sui consumatori.
Dunque, la BCE punta sulla marcia indietro delle aziende, che dovranno sacrificare i propri margini a tutela della domanda interna. Se così non dovesse essere, e per esempio le imprese dovessero provare a recuperare alle spalle dei consumatori il 25% del margine di profitto perduto, allora l’inflazione nel 2025 sarebbe addirittura superiore alla linea di base, raggiungendo quasi il 3%.
In ultima analisi, la Banca Centrale europea continua a scommettere su una politica restrittiva, sperando così di “sfiancare” le speculazioni e restituire ai rincari delle dimensioni più realistiche rispetto ai reali rincari delle materie prime.
Il tutto, in attesa che lentamente anche lo smorzamento della domanda contribuisca al calo lento e progressivo dell’inflazione, fino a scendere sotto il livello di guardia in modo stabile e duraturo.