La decisione era ampiamente annunciata e attesa: la BCE ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base (con effetti dal 21 giugno 2023) e comunicato l’intenzione di proseguire con la stretta monetaria anche a luglio. Il motivo è sempre lo stesso: l’inflazione. Che, ha sottolineato la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde, «ha iniziato a scendere ma, in base alle previsioni, resterà troppo alta per troppo tempo».
Francoforte prosegue dunque con i rialzi del costo del denaro per «assicurarsi che l’inflazione rientri velocemente nel limite del 2%». E fin qui, Lagarde ha sostanzialmente ribadito una posizione ampiamente nota. Ci sono però alcuni elementi di novità nelle decisioni di politica monetaria prese nella riunione del 15 giugno.
Tassi BCE, cosa aspettarsi nei prossimi mesi
Il primo è rappresentato dall’annuncio di un prossimo, probabile, nuovo rialzo in luglio. E’ una svolta rispetto alla strada annunciata nel marzo scorso, improntata a una maggior prudenza sugli annunci delle mosse future, legate a doppio nodo ai macro-dati.
L’impatto dei rialzi BCE sull’economia reale
Il secondo riguarda l’impatto sull’economia reale, in particolare su mutui e prestiti. «Le condizioni di finanziamento più rigorose sono una delle ragioni principali per cui si prevede che l’inflazione scenda portandosi verso l’obiettivo (del 2%)» a causa dell’impatto sulla domanda (vista, evidentemente in discesa). Viene quindi sottolineata una precisa scelta di politica monetaria, in risposta alla critica che più spesso viene rivolta alla Banca Centrale in questo periodo: il freno alla ripresa.
Il costo del denaro dal 21 giugno
I tassi sono stati aumenti di 25 punti base, quindi il rifinanziamento principale passa al 4% e i tassi di interesse sulla linea di rifinanziamento marginale e sulla linea di deposito si portano rispettivamente al 4,25% e 3,50% a partire dal 21 giugno 2023.
Questi non sono i tassi che vengono applicati ai mutui, sono tutti tassi interbancari (in parole semplici, rappresentano il costo del denaro per le banche).
L’impatto dei rialzi BCE su mutui e prestiti
L’impatto sui mutui e sui prestiti è a cascata, nel senso che questi costi nel tempo si trasmettono sull’economia reale, provocando un rialzo dei tassi su tutte le tipologie di prestito.
Ci sono una serie di previsioni che già circolano su come saliranno di conseguenza, per esempio, i tassi sui mutui e quelli sui prestiti alle imprese. E’ vero che questa trasmissione avverrà e quindi prevedibilmente aumenterà il costo dei finanziamenti all’economia reale. Ma l’impatto non è immediato (ci vuole qualche mese).
L’analisi di Christine Lagarde sulle politiche BCE
E qui si inserisce l’analisi dei due elementi sopra descritti. Il Consiglio direttivo di Francoforte ha ribadito che continuerà a seguire un approccio data driven in materia di politica monetaria. Ma nella consueta conferenza stampa che segue le decisioni di politica monetaria, Christine Lagarde ha apertamente dichiarato che la fase rialzista non è terminata, ed è «molto probabile» un nuovo incremento a luglio. A meno che «non ci sia un cambiamento concreto del nostro scenario».
Non solo: questa strategia viene ritenuta valida anche a fronte dell’impatto sull’economia reale.
«I passati aumenti dei tassi del Consiglio direttivo si stanno trasmettendo con forza alle condizioni di finanziamento e stanno gradualmente avendo un impatto su tutta l’economia. I costi di finanziamento sono aumentati vertiginosamente e la crescita dei prestiti sta rallentando».
Le condizioni di finanziamento più rigorose sono una delle ragioni principali per cui si prevede che l’inflazione scenderà ulteriormente verso l’obiettivo, in quanto dovrebbero frenare sempre più la domanda.
Quindi, la BCE ritiene che la politica restrittiva stia funzionando nell’ottica di ridurre l’inflazione e che continuerà a farlo.
Come sta andando l’inflazione
I dati sulla base dei quali sono state prese le decisioni di politica monetaria: l’inflazione complessiva secondo le stime attuali raggiungerà in media il 5,4% nel 2023, il 3,0% nel 2024 e il 2,2% nel 2025; l’inflazione “core”, depurata da beni energetici e alimentari, è invece vista al 5,1% nel 2023, al 3,0% nel 2024 e al 2,3% nel 2025. E’ un outlook (una previsione) che non soddisfa la BCE.
La crescita dell’Eurozona, dopo il +3,5% del 2022, è vista allo 0,9% nel 2023, e salirà poi all’1,5% nel 2024 e all’1,6% nel 2025.
La sfida dell’equilibrio fra tassi BCE e crescita
In linea di massima, non ci sono dubbi sul fatto che le strette monetarie siano efficaci nel ridurre l’inflazione. Questo è un punto su cui sono tutti d’accordo, anche i sostenitori di politiche maggiormente espansive. Ma il punto è un altro.
Come ha spiegato nelle considerazioni finali il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, «di fronte al violento shock determinato dai rincari energetici, è necessario ricercare un equilibrio tra il rischio di una restrizione insufficiente, che potrebbe portare a un radicamento della dinamica inflazionistica nelle aspettative e nei processi di determinazione dei redditi nominali, e quello di un inasprimento sproporzionato, che potrebbe ripercuotersi troppo intensamente sull’attività economica, e avere riflessi negativi sulla stabilità finanziaria e, in ultima analisi, sulla stessa stabilità dei prezzi nel medio termine».
Il punto è che, dopo anni di tassi pari a zero, la risalita del 2022 è stata repentina: è iniziata nel luglio dello scorso anno e ha portato all’attuale 4%. Un ritmo e una portata «senza precedenti», sottolinea Visco. Secondo il quale è corretto che l’orientamento della politica monetaria continui «a essere definito in modo da garantire un rientro progressivo, ma non lento, dell’inflazione verso l’obiettivo».
Ma con il necessario bilanciamento sopra riportato, che eviti un impatto eccessivo sull’economia reale e anche sulla stabilità finanziaria.
Banche solide ma sotto pressione
Le banche europee sono solide, lo ripetono tutti, rassicurando rispetto al rischio di fallimenti come quelli avvenuti negli Stati Uniti (Svb, Silicon Valley Bank, Silvergate Bank e Signature Bank). In sintesi: abbiamo fondamentali solidi, non si vedono rischi sistemici, ma (sempre per dirla con le parole del Governatore della Banca d’Italia) «la sfida è impegnativa».
Visco nel suo discorso si era anche rivolto alle imprese, chiedendo politiche di prezzo adeguate al momento. «Simmetricamente a quanto avvenuto nella fase di rialzo dei corsi dell’energia del 2022, le recenti riduzioni di costo dovrebbero ora essere trasmesse ai prezzi dei beni e dei servizi». Possiamo aggiungere che questa raccomandazione sarebbe da recepire soprattutto per le grandi imprese, e per le realtà produttive che stanno a valle della catena di fornitura, per evitare poi un impatto a cascata che penalizza, in particolare le PMI.
PMI alla sfida del credito con i rialzi BCE
Le piccole e medie imprese sono fra l’altro le realtà che maggiormente soffrono del rialzo dei tassi sui prestiti (tendenzialmente, quelli applicati dalle banche ai big sono più bassi di quelli invece rivolti alle realtà di minori dimensioni).
Per quanto riguarda infine la reazione dei mercati, c’è stata in Europa una leggera flessione a caldo: Piazza Affari il 15 giugno ha chiuso a -0,28%, in linea con gli altri listini europei, Wall Street ha terminato la seduta in rialzo trascinando positivamente l’apertura odierna dei listini azionari. Lo spread è in calo, quindi non c’è impatto negativo sul debito pubblico italiano.