Se il Buono Postale riporta un tasso di interesse maggiore rispetto a quello previsto Decreto Ministeriale emanato successivamente alla sua emissione, le Poste devono riconoscere gli interessi maturati precedentemente a tale decisione di riduzione. E’ quanto stabilito dal Tribunale di Parma con una recente sentenza che si pone in contrasto con una delle ultime delle Sezioni Unite della Cassazione, con la quale i giudici si erano espressi favorevolmente alle Poste.
Secondo il parere dei giudici del Tribunale, quindi, le penalizzazioni non possono essere retroattive ed i possessori di Buoni Postali possono ancora ottenere, anche se non per intero, il tasso d’interesse riportato sul buono.
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Il caso
Nel caso in esame, ai consumatori non erano stati versati gli interessi indicati sul retro del Buono ma quelli calcolati sulla base di un provvedimento – in particolare il DM 13/6/1986 – che aveva sensibilmente ridotto gli interessi dovuti ai possessori dei Buoni Postali.
In merito, la sentenza n. 3963/19 delle Sezioni Unite della Suprema Corte aveva affermato che l’efficacia del decreto non poteva essere negata.
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La sentenza
Diametralmente opposta, invece, la nuova visione del Tribunale di Parma, in seguito a ricorso (presentato dall’avv. Giovanni Franchi, Presidente di Konsumer Emilia Romagna): secondo i giudici, il decreto non ha efficacia retroattiva e dunque, fino al momento in cui è entrato in vigore (1 gennaio 1987), le Poste Italiane devono riconoscere le somme scritte sul retro dei Buoni Postali.
Gli interessi corrisposti ai consumatori non sono comunque quelli promessi quando hanno sottoscritto i BTP, ma comunque hanno diritto ad un importo maggiore rispetto a quello finora ottenuto.