Tratto dallo speciale:

PMI e Partite IVA senza credito: torna lo spettro usura

di Teresa Barone

9 Marzo 2023 10:07

logo PMI+ logo PMI+
Credit crunch: cresce il rischio usura per Partite IVA e piccole imprese, sempre più penalizzate nell’accesso al credito bancario: l’analisi della CGIA.

Il calo dei prestiti concessi alle piccole imprese è iniziato un decennio fa, interrompendosi momentaneamente solo nel biennio 2020-2021 grazie alla creazione del Fondo di garanzia pubblico istituito per far fronte all’emergenza Covid.

Oggi i finanziamenti bancari alle Microimprese, alle PMI di piccole dimensioni e alle Partite IVA continuano a diminuire, con un promo forte segnale registrato nel 2022, quando gli impieghi vivi alle aziende con meno di 20 addetti sono scesi di 5,3 miliardi di euro (-4,3%), con lo stock complessivo di credito erogato a questo segmento di aziende è sceso da 124 a 118,7 miliardi di euro.

A farne le spese sono soprattutto esercenti, piccoli commercianti, artigiani e lavoratori autonomi, secondo l’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della CGIA. Una conseguenza di questo trend, che vede il mondo delle imprese a corto di liquidità ed un ritorno al credit cruch (difficoltà di accesso al credito) è la potenziale crescita del rischio di usura.

Se da un lato il mondo del credito ha dovuto fare i conti con il rialzo dei tassi di interesse sul costo del denaro stabilito dalla Banca Centrale Europea (BCE) con impatto diretto sull’erogazione del credito, dall’altro questi stessi vincoli hanno fatto incrementare sensibilmente la soglia del merito creditizio. In questo modo, per molti piccoli imprenditori è diventato sempre più difficile accedere alla liquidità attraverso i canali ufficiali, cadendo spesso nella rete degli usurai.

Un fenomeno, quello dello “strozzinaggio”, molto “carsico” e sempre più spesso “controllato” dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso – si legge nella nota della CGIS – che, nei momenti di difficoltà, sono gli unici soggetti che dispongono di ingenti quote di denaro pronte ad essere immesse nel mercato economico.

Dal punto di vista territoriale, l’Emilia-Romagna rappresenta l’area più penalizzata dalla stretta, ma a subire contrazioni notevoli sono state anche il Veneto, l’Umbria, il Friuli-Venezia Giulia e la Liguria.