Finanziare progetti sociali, anche tramite finanziamenti alle PMI: questo il fine principale dei cosiddetti social bond, che con la pandemia sono letteralmente esplosi. Gli investitori con un approccio di lungo termine dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di investire in questo nuovo mercato, per sostenerne lo sviluppo e trarre vantaggio dalla sua crescita futura.
Social bond: cosa sono
I social bond sono emissioni obbligazionarie i cui proventi sono utilizzati per finanziare progetti nuovi e/o pre-esistenti che affrontano uno specifico problema sociale o per generare un effetto sociale positivo (abitazioni economiche, posti di lavoro, infrastrutture, servizi essenziali e così via).
In altre parole, sono una forma di debito che consente agli investitori di contribuire alla raccolta di fondi per progetti con risultati sociali positivi che, in alcuni casi, forniscono un ritorno sull’investimento. Si tratta ad esempio di progetti per il miglioramento della sicurezza alimentare o dell’accesso all’istruzione, nonché per l’assistenza sanitaria e il finanziamento di nuove attività da parte di fasce svantaggiate della popolazione.
Per chi investe, si tratta di una soluzione ottimale per incrementare la diversificazione nel portafoglio e rappresentano una solida piattaforma in termini di impegno degli emittenti su temi sociali, di trasparenza e di misurazione degli impatti.
Boom di mercato nel post-Covid
Una recente ricerca di S&P Global Ratings ha rivelato che l’emissione di obbligazioni sociali ha raggiunto livelli record ed è più che quadruplicata quest’anno. “La recente crescita delle emissioni di social bond indica che la pandemia di COVID-19 non ha distolto l’attenzione degli emittenti o degli investitori dalla finanza sostenibile, anzi, l’interesse sembra essere in crescita”.
Nel 2021 hanno raggiunto un valore di 194 miliardi di dollari a livello globale, contro i 10 miliardi di soli due anni prima (dati Bloomberg). Gran parte di questa crescita è attribuita proprio all’effetto della pandemia, che ha accelerato l’emissione di social bond per finanziare soluzioni e misure di assistenza e ripartenza.
Non a caso, la loro popolarità è aumentata nel bel mezzo della pandemia. Morgan Stanley rileva come nel solo aprile 2020 siano stati emessi 32 miliardi di dollari di obbligazioni sociali e di sostenibilità, primo mese in cui le emissioni di social bond hanno superato quelle dei green bond, che l’anno precedente avevano registrato 257 miliardi di dollari di emissioni.
Paesi come l’Ecuador e il Guatemala hanno emesso social bond sovrani per finanziare gli sforzi di risposta contro il COVID-19. In Guatemala, il ricavato dell’emissione è stato destinato a finanziare il miglioramento delle infrastrutture sanitarie e le iniziative di sicurezza alimentare, il sostegno alle imprese e ai professionisti e le pratiche mediche e di prevenzione.
Social bond in Italia
Guardando all’Italia, è recente il primo Social bond emesso da un gruppo bancario tricolore, Intesa SanPaolo. La banca guidata da Carlo Messina ha reso noto di aver collocato con successo il suo primo bond sociale per un valore nominale di 750 milioni di euro. La domanda ha raccolto oltre 1,3 miliardi di ordini, con circa il 70% di investitori specializzati in tematiche ESG. Si tratta della più grande emissione per un emittente bancario italiano in questo formato, nonché l’emissione senior con la durata più lunga da gennaio 2022 per il segmento Fig Italia.
L’emissione è dedicata a finanziare o rifinanziare le categorie social descritte nel Green, Social and Sustainability Bond Framework del Gruppo. Il portafoglio social a valere dell’emissione è costituito prevalentemente da finanziamenti alle PMI operanti in aree svantaggiate (inclusi i Covid loan) e soggetti no profit operanti in settori di particolare attenzione sociale (Sanità, Istruzione, Welfare e solidarietà).
Il libro ordini è stato molto diversificato. Il dettaglio di quelli allocati mostra una partecipazione per circa il 53% Fund Managers, 27% Banche e Private Banks e 18% Assicurazioni e Fondi Pensione. La distribuzione geografica degli ordini evidenzia il 36% dalla Francia, il 18% da Regno Unito e Irlanda, il 15% da Germania e Austria, il 13% dall’Italia, il 6% dal Benelux, il 5% dalla Svizzera e il 4% dalla Spagna.