Altro che pareggio di bilancio dal 2013, in Italia il debito pubblico continua a segnare ogni mese un nuovo record: 1.948,584 miliardi di euro, secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia.
Decreto Salva Italia e Liberalizzazioni, Riforma delle Pensioni e Riforma del Lavoro e chi più ne ha più ne metta hanno avuto come risultato – a quanto pare – solo quello di aumentare la pressione fiscale su cittadini, famiglie e imprese senza davvero andare a invertire la rotta.
Ecco perché ora, con lo spettro della recessione ed il ritorno del rischio contagio, il premier Mario Monti ha deciso di dare il via ad una fase di liquidazione nazionale: invece di tagliare spese e privilegi della politica, si preferisce la svendita degli asset pubblici.
È l’ipotesi lanciata da Monti durante un incontro con il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, dichiarandosi pronto a cedere i beni pubblici. Il motivo? La crisi continua a perdurare e nuove manovre finanziarie sono escluse, per cui non resta che vendere gli asset pubblici, quelli in attivo ovviamente.
«Stiamo preparando la cessione di una quota dell’attivo del settore pubblico, sia immobiliare che mobiliare, anche del settore locale», sono le parole di Monti. Una soluzione alla quale, secondo il premier, si starebbe lavorando da tempo con la creazione di veicoli, fondi immobiliari e mobiliari attraverso i quali convogliare le attività pubbliche.
Fondamentalmente si tratta dell’ultima fase di un percorso che è già iniziato da parte delle imprese, le quali hanno già iniziato a migrare all’estero.
Il rischio, come nel caso delle imprese che lasciano l’Italia, è di perdere i punti di forza della nostra economia.
La misura potrebbe essere inserita nel decreto sulla Spending Review, di cui il ministro per i rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, è tornato a parlare, confermando la volontà del Governo di aumentare a circa 5 miliardi i tagli alle spese. E chissà se questo basterà a scongiurare l’aumento dell’IVA al 23% previsto per ottobre.
Razionalizzare la spesa pubblica di 5 miliardi nel secondo semestre 2012 significa ottenere circa 8,5 miliardi di risparmi strutturali dal 2013, mentre aumentando di un altro punto l’IVA si otterrebbero entrate per 13,12 miliardi di euro nel 2013 e 16,4 miliardi nel 2014. Appare dunque difficile che il Governo vi rinunci.
Eppure gli ultimi dati di Bankitalia parlano chiaro: continuare con manovre forti ed austerity peggiora le entrate e blocca la crescita economica. Le entrate tributarie, a fronte delle azioni intraprese da Governo, infatti, sono cresciute ma meno di quanto si aspettava l’Esecutivo: 111,295 miliardi di euro nel primo quadrimestre 2012, pari al +0,2% su base annua.
Crisi economica ed austerity non vanno a braccetto e bloccano il PIL, come ampiamente fatto notare al Governo da più parti, ancora da vedere però se la squadra di Monti abbia recepito il messaggio.
In ogni caso ora non resta che aspettare il decreto sulla spending review, atteso per il 25 giugno all’esame in Aula per essere poi convertito in legge entro il 7 luglio. Il termine per presentare gli emendamenti è invece fissato al19 giugno, per poi passare alla loro discussione il 20 e alle votazioni il 21.