PMI, Cina e Italia: investire conviene

di Francesca Pietroforte

Pubblicato 23 Gennaio 2012
Aggiornato 11 Marzo 2016 09:23

Tra investimenti e agevolazioni, i vantaggi del mercato cinese per l'internazionalizzazione e la delocalizzazione delle piccole e medie imprese.

«Vogliamo partnership, vogliamo fare affari insieme, ci interessa il vostro know-how, la vostra abilità nel design». Così si è espresso Jonathan Goo, vice presidente della Shangai Small & Medium-sized Enterprises Development Service Center, in occasione dell’Italy Shangai SME Enterprises Cooperation Forum di Milano, il secondo appuntamento per le due rappresentanze dopo quello dello scorso novembre a Shangai e in vista del prossimo, in autunno, ancora in Cina.

Durante l’incontro – al quale hanno partecipato Confartigianato Lombardia, Cna Lombardia, Ali, Assolombardia, Confapindustria Lombardia, Regione e Camera di Commercio di Milano – sono stati esplicitati gli obiettivi delle Pmi cinesi in sinergia con quelle italiane: importare conoscenza restituendo capacità di produrre e ampia disponibilità di investimenti e materie prime.

La modalità preferita? La joint venture: più imprese collaborano per realizzare un progetto, sfruttando le rispettive competenze e condividendo rischi e opportunità. Un soggetto giuridicamente autonomo e indipendente, in cui ogni azienda ha peso pari alla propria partecipazione.

Pro

L’economia cinese è in crescita continua e le PMI locali godono di appositi programmi tesi a favorire crescita e sviluppo. La sola Shangai ospita 400mila fra piccole e medie imprese classificate secondo l ‘ accezione cinese (aziende con meno di 2mila dipendenti) di cui 50mila a conduzione familiare. Le imprese private godono di aiuti pubblici, soprattutto per avviare processi di internazionalizzazione: “la legge per promuovere le piccole e medie imprese in Cina risale al 2002 – spiega ancora Jonathan Goo – e ogni singolo ministero ha una parte di budget riservata alle Pmi.

Dal primo gennaio 2011, inoltre, a Shangai è entrata in vigore una nuova normativa per il supporto e finanziamento dei piccoli a 360 gradi: dallo sviluppo delle risorse umane all’informatizzazione. E non è tutto: un fondo per le imprese più innovative viene rimpinguato ogni anno (se nel 2009 ammontava a 4 milioni di euro, nel 2010 è salito a 6 milioni, e nel 2011 dovrebbe crescere ancora) e anche l’internazionalizzazione è promossa attraverso il programma “SMEs Global market development fund” attraverso cui la Camera di Commercio di Shangai rimborsa le spese affrontate dalle PMI per accedere a mercati internazionali, per una quota massima del 50%.

Ecco i motivi di attrazione che l’economia cinese esercita sugli imprenditori italiani. Ma non è tutto bianco o nero.

Contro

Se il gap economico si sta lentamente colmando (il costo del lavoro comincia a equipararsi a quello occidentale), tuttavia quello culturale persiste, sia per gli elementi di “etica del lavoro”, sia per motivi di natura politica (per settori come editoria, produzioni cinematografiche e televisive, gioco d’azzardo, armi e prodotti tradizionali non è concesso che l’investimento sia al 100% straniero senza una qualsiasi forma di compartecipazione nazionale).

Diverso è anche il modo di concepire la burocrazia: quelle che da noi sono un mezzo per monitorare gli ingressi nel Paese, di fronte alla spregiudicatezza del sistema economico cinese diventano fastidiose barriere d ‘ entrata: per venire in Italia è necessario un visto per ogni viaggio (mentre per andare negli Stati Uniti ne basta uno per un anno), ottenerlo non è sempre semplice, e comporta una notevole dispendio di tempo.

Investimenti

La Cina guarda con interesse all’Italia e al suo sistema produttivo basato sulle Pmi. Di molti “plus” si cerca di fare tesoro esportandone il modello: come dell’efficiente supporto dei Confidi, che aiutano le imprese nella fase sempre più fondamentale dell’accesso al credito; com ei consorzi export, che esplicano la propria funzione favorendo i processi di internazionalizzazione; come i centri servizi tecnologici.

Ma anche l’Italia non è da meno. «Ho scelto di investire in Cina perché lì ci sono molti dei nostri fornitori, perché lì producono molti dei nostri clienti internazionali e perché il mercato cinese ha un’espansione tale che non si può non voler cogliere l’occasione», ha spiegato Massimo Forlani della Forlani Impianti, uno di quegli imprenditori italiani che hanno sperimentato i benefici dell’internazionalizzazione in Cina scommettendo su una joint venture.

Oggi a Shajing abbiamo 25 dipendenti e a fine anno ci aspettiamo un fatturato di 3 milioni di euro. Ma entro la fine dell’anno prossimo, cioè quando andremo a regime, contiamo di raggiungere i 100 dipendenti e i 7 milioni di fatturato. Ma sa quanto mi costa in Cina il responsabile della logistica? Seimila euro lordi al mese”. Gli stipendi salgono, e con loro il potere d’acquisto dei cinesi e soprattutto la loro voglia di spendere e di consumare. Un’altra freccia all’arco dell’attraente mercato della Cina.

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