Dopo aver tracciato le leve strategiche di internazionalizzazione per le imprese italiane, evidenziamo e analizziamo gli aspetti critici da considerare nella valutazione della migliore modalità di ingresso in un nuovo mercato. Tracciamo a questo fine un Decalogo delle priorità:
- Termini contrattuali
- Fattibilità economica del progetto
- Conoscenza di interlocutori e partner aziendali
- Attenzione ai flussi di cassa
- Evitare business poco chiari
- Non accettare compromessi o scorciatoie
- Agire entro le regole del WTO
- Valutare potenziali problemi e apprendere dagli errori
- Limitare l’esposizione
- Essere presenti
1. Termini contrattuali: chiarezza
Con ciascun interlocutore professionale è necessario definire da subito le condizioni di prestazione, sottoscrivendo uno specifico contratto. Non siglarlo, o farlo senza pretendere chiarezza delle condizioni contrattuali, è costituisce quasi uno svantaggio per l’azienda.
Quando si entra in accordi contrattuali con partner di altro Paese bisogna specificare con attenzione termini di pagamento e livelli di servizio / prodotto, definendo scadenze e curando ogni dettaglio. Fondamentale è richiedere una consulenza legale, e non basarsi solo sulla sola fiducia nel partner.
Conviene anche assicurarsi che il partner abbia le autorizzazioni per svolgere le attività previste dal contratto. Persino la presenza di rappresentanti del governo locale non garantisce sempre l’esistenza di licenze: è bene procedere con una verifica in maniera indipendente.
2. Fattibilità economica del progetto: stime
Il progetto deve essere sostenibile economicamente, non sulla base di promesse o desiderata ma di un Business Plan veritiero e verosimile, ipotizzando un punto di pareggio (BEP – break even point) non nell’immediato: sono pochi i mercati che già al primo anno di attività permettono un pareggio, che normalmente avviene almeno dopo due o tre anni, a seconda della modalità di ingresso e del tipo di attività.
3. Interlocutori e partner: buona conoscenza
Non sempre si conoscono in profondità le attività svolte e le potenzialità nascoste dei propri partner: dal fornitore di servizi al distributore in esclusiva dei prodotti, è bene conoscerne il business nel dettaglio con una adeguata due-diligence, soprattutto per i key-partner, con un controllo da fonti indipendenti sull’origine delle informazioni del proprio partner o del cliente.
4. Flussi di cassa: attenzione ai pagamenti
Un contratto con un partner insolvente è senza valore, quindi bisogna fare molta attenzione ai dettagli delle forme pagamento. Se si desidera essere pagati in valuta straniera, è indispensabile pensare a come tutelarsi dal rischio di cambio.
Se, come spesso accade, i pagamenti sono dilazionati nel tempo, occorre tutelarsi al massimo per ridurre il rischio di insolvenza (ad esempio utilizzando lettere di credito e altre forme di pagamento “sicure”. L’unica forma di pagamento sicura al 100% è quello anticipato, anche se spesso difficile da imporre al cliente.
Almeno nella prime operazioni, è raccomandabile ricevere un sensibile anticipo, (50-70% dell’ammontare pattuito), definendo comunque sempre un pagamento garantito sul resto.
5. Business poco chiari: da evitare
Sia a livello di aree che di prodotti capita a volte che interlocutori locali propongano operazioni “sicure” sebbene non del tutto in linea con leggi locali/internazionali. La conclusione più probabile di tali “deal” è la perdita dell’intero investimento!
Conviene fare sempre riferimento ai regolamenti della World Trade Organizations, e verificare le leggi locali. Ad esempio, in Cina è vietato importare prodotti alimentari freschi. Sebbene non sia una attività illegale secondo le regole internazionali, lì non è consentita.
6. Compromessi o scorciatoie: mai accettare
In molti Paesi l’offerta di “scorciatoie legali è ancora, purtoppo, pratica diffusa nonostante la mano pesante dei governi. Oltre alla valutazione morale di comportamenti riprovevoli, dunque, è bene ricordare che in alcuni Paesi le punizioni sono molto severe (dalla multa, alla carcerazione fino alla pena capitale): quando ci viene chiesto di pagare tangenti, bisogna fare marcia indietro, ricordando ai proponenti dei limiti di legge e del rischio notevole per entrambi.
7. Regole: rifarsi al WTO
È buona norma cercare il supporto del proprio governo e della Comunità Europea a tutela dei propri investimenti o attività all’estero: a tale scopo bisogna essere a conoscenza dei regolamenti o normative del proprio settore.
Se si contravviene alle norme sarà poi quasi impossibile ottenere difendere i propri interessi e investimenti.
8. Potenziali problemi: imparare dagli errori
Errare humanum est,…vale in tutto il mondo ma soprattutto nei mercati più complessi: bisogna valutare tutti i potenziali rischi e guardare agli errori propri e altrui. Un’analisi delle best practices internazionali nel Paese in cui si intende operare (e anche dei casi di insuccesso) è sempre utile, magari organizzando incontri con operatori già presenti.
Oltre al business plan per valutare la profittabilità è quindi utile investire tempo studiando i rischi e creando strategie alternative, ipotizzando anche una eventuale exit-strategy (e costi associati).
9. Limitare l’esposizione
Una risk analysis prima di investire all’estero – per conoscere il livello di rischio massimo e minino e il grado di accettabilità da parte dell’impresa – aiuta ad essere realistici su quanto rischio si possa e si voglia accettare.
Per valutare il mercato conviene utilizzare fonti più approfondite di quelle ottenute da partner, giornali, fiere o conoscenti. Conviene definire verifiche del progetto e strategie di fuga nel caso peggiore dello scenario.
10. Essere presenti
Progetti, vendite e acquisti nella maggior parte dei mercati richiedono oggi livelli alti di conoscenza e costante attenzione. Mai pensare che attività profittevoli possano funzionare da sole! È indispensabile considerare accuratamente tutti i dettagli del business, senza delegare troppo ai partner locali.
Forme deboli di internazionalizzazione quali il “puro” export (affidandosi totalmente ad altri), anche se portano profitto nell’immediato, difficilmente permettono di costruire un vantaggio competitivo consolidato nei mercati esteri.
L’IDE resta il miglior approccio a un mercato estero e, se proprio non è possbile, la cosa fondamentale è individuare la forma più adatta alla propria realtà aziendale che consente di essere sufficientemente presenti e proattivi nel nuovo mercato.
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a cura di Emanuele C.Francia – Manager e consulente, ha seguito per diverso tempo le operazioni cross-border per numerose imprese italiane in Europa e Stati Uniti. Co-fondatore e partner di Emasen Consulting, società di consulenza specializzata nei processi di internazionalizzazione e supporto alle imprese italiane. Scrive per riviste scientifiche di geopolitica, economia e management e collabora con università sia in Italia che in Cina nell’ambito della ricerca e dell’insegnamento.