Il costo della burocrazia per le imprese in Italia è salato: lo conferma la classifica Doing Business 2014 della Banca Mondiale, per quanto la Penisola guadagni due posizioni collocandosi al 65esimo posto su 189 paesi. Davanti a noi perfino Ruanda (32esimo), Messico (53esimo), Botswana (56esimo), Panama (55esimo). La top ten è poco variata: sul podio restano Singapore, Hong Kong e la Nuova Zelanda, seguiti da Stati Uniti e Danimarca. La prima sorpresa è al sesto posto, dove la Malesia supera la Corea e la Norvegia, preceduta dalla Georgia. Decimo posto per la Gran Bretagna.
Punti di forza e punti deboli
Il piccolo passo avanti dell’Italia è dovuto a tre fattori: registrazione della proprietà (dal 54esimo al 34esimo posto), efficacia dei contratti (da 140 a 103), commercio estero (da 58 al 56). L’indicatore con peggiori performance è sui permessi per costruire (da 101 a 112). Una sorpresa amara, dopo tutte le norme che si sono succedute sulle nuove imprese (start up innovative, srl a un euro…) è rappresentata dalle sei posizioni perse in materia di aprire una società (da 84 a 90): o le novità non hanno ancora dispiegato il loro portenziale o gli altri si muovono meglio e più velocemente. Quel che invece non sorprede è il dato relativo alle tasse: in assoluto l’indicatore peggiore. L’Italia è 138esima nel mondo, perdendo tre posizioni.
Costo del lavoro
Il motivo per cui l’Italia non fa progressi sul fronte della facilità di avvio impresa, riguarda i costi: sui tempi sono stati fatti passi (bastano sei giorni per tutte le pratiche necessarie ad aprire un’attività, su una media Ocse di 11 giorni), ma le procedure restano più numerose che altrove (sono sei, contro le cinque di media Ocse), e soprattutto pesano i costi (il 14,2% del reddito medio, contro il 3,6% generale). La registrazione di una proprietà, invece, avviene più velocemente che nella media Ocse, 16 giorni contro 24, e costa come negli altri paesi. Un capitolo a parte merita la gestione dei fallimenti (altro punto debole tradizionale del paese): l’Italia ha perso tre posizioni sul 2013, ma resta almeno nella parte alta della classifica, al 33esimo posto. I dati precisi sulle tasse? Un imprenditore italiano effettua 15 pagamenti all’anno, contro i 12 di media Ocse. Impiega 269 ore (all’anno), contro una media di 175, paga tasse sui profitti del 20,3%, contro il 16,1%, ma soprattutto paga tasse e contributi sul lavoro quasi doppi che altrove (il 43,4%, contro la media del 23,1). Si può sottolineare a questo proposito la giusta direzione intrapresa con la Legge di Stabilità attualmente in discussione in parlamento, che prevede una riduzione del costo del lavoro, pur giudicata insoddisfacente dalle imprese e dai sindacati. Il carico fiscale totale che pesa su un’impresa italiana è al 65,8%, contro il 41,3% di media Ocse.