Forse la Cina e l’Unione Europea stanno semplicemente mettendo in pratica il detto latino “se vuoi la pace, prepara la guerra”, ma di certo la minaccia di guerra commerciale fra Bruxelles e Pechino sta vivendo un’escalation: pannelli fotovoltaici cinesi contro i vini europei.
Il problema nasce dai dazi doganali che la Commissione UE ha imposto dal 5 giugno sull’importazione di pannelli dalla Cina.
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E dire che, rispetto all’originaria intenzione di imporre una “tassa” del 47,6%, l’Europa è venuta a più miti consigli e ha deciso per una barriera doganale “provvisoria”, dell’11,8% per due mesi (fino al 6 agosto 2013), lasciando spazio a una trattativa.
La risposta di Pechino è stata immediata e non indolore: lo stesso giorno ha avviato un’indagine anti-dumping sui vini europei (approfondisci). Significa che ritiene che le bottiglie che arrivano da Italia, Francia, Spagna e via dicendo entrino nel mercato asiatico attraverso pratiche commerciali scorrette (prezzi troppo bassi) con relativo danno per i produttori locali.
La minaccia è di “tassare” le importazioni di bottiglie dall’Europa. Come è facile immaginare, il motivo per cui l’Europa alza barriere fiscali all’ingresso dei pannelli fotovoltaici cinesi è esattamente lo stesso: dumping.
Dazio contro dazio, nel più classico caso di guerra commerciale. Il ministro del commercio cinese dichiara che la Cina ha cercato di negoziare sul Fotovoltaico, mentre l’Europa «ha imposto ostinatamente dazi ingiusti”. Quindi, il contrattacco: il governo cinese ha raccolto le proteste del settore vinicolo nazionale contro le bottiglie che arrivano dall’Europa, che si impongono sul mercato con politiche di prezzo scorrette e sovvenzioni che arrivano da Bruxelles.
In ballo ci sono centinaia di milioni di euro: secondo Roger Waite, portavoce commissario UE all’Agricoltura Dacian Ciolos, nel 2012 i paesi UE hanno esportato vino in Cina per 763 milioni di euro, l’8,6% delle esportazioni totali di bottiglie fuori dai confini comunitari. L’Italia è a quota 77 milioni, terzo esportatore europeo dopo Francia (546 milioni) e Spagna (89 milioni).
Come è facile immaginare, i vignaioli italiani certo non gioiscono: «la spada di Damocle dei dazi rischia ora di abbattersi sull’aumento record del 42% nel primo bimestre delle esportazioni di vino italiano in Cina», commenta Coldiretti.
Secondo le stime della Cia, Confederazione Italiana Agricoltori, il danno per l’Italia è intorno agli 80 milioni l’anno: la guerra dei dazi rischia di frenare l’Export italiano verso un mercato nel quale «l’incidenza delle nostre bottiglie è passata da appena l’1% di fine anni ‘90 all’8% attuale». Nell’ultimo anno le etichette Made in Italy che hanno viaggiato sulla via della seta sono aumentate del 15%, e nel primo bimestre 2013 «la spesa per le nostre bottiglie è cresciuta del 41,5% per 32.596 ettolitri venduti oltre la Grande Muraglia solo tra gennaio e febbraio».
Del resto, non è un caso se proprio la Cina è stata l’ospite d’onore dell’ultima edizione del Vinitaly di Verona nell’aprile scorso (leggi qui).
Comunque sia, l’Europa risponde a Pechino negando qualsiasi pratica di dumping sul vino e chiarisce che non sono in vigore politiche di aiuto all’Export di vino. Esistono sussidi alla promozione di vino europeo, ma, spiega sempre il ministero delle Politiche Agricole Ue, «i cofinanziamenti alle azioni promozionali sono cosa molto diversa dagli aiuti all’export» e comunque sono stati «a lungo negoziati in sede WTO (organizzazione mondiale del commercio)».
Segnali distensivi, in realtà, arrivano da entrambe le parti: se l’Europa da una parte ha rinunciato, come detto, a dazi ben più pesanti, la Cina esprime a sua volta disponibilità al dialogo. Ma su entrambi i fronti non manca chi alza la voce (da Parigi, il presidente francese Hollande ha chiesto un vertice urgente dei 27 partner Ue, ma il presidente Josè Manule Barroso ha risposto negativamente). E nel frattempo, da entrambe le parti si innalzano barriere: e in Italia, pesano su un settore, quello vitivinicolo, ad alta densità di PMI.