Il rapporto “Le imprese industriali del Mezzogiorno” a cura della Fondazione Ugo La Malfa in collaborazione con Mediobanca, ha raccolto e analizzato i dati di bilancio delle aziende con sede nel Sud d’Italia, fornendo risultati 2012 davvero impietosi: la loro redditività si è azzerata e la capacità degli investimenti di produrre ricchezza è crollata, con un ROI (Return on investiment) dello 0,5%, rispetto ad un dato nazionale dell’8,1%.
Negativo anche il ROE (Return on equity), che misura la redditività del capitale impiegato, sceso a -12,5% rispetto al dato nazionale, contenuto ma tuttavia positivo (5,4%).
Altalenante il trend negli ultimi anni sugli utili d’impresa per via della crisi economica: secondo le stime, la perdita si è protratta per tutto il 2012 con una riduzione inarrestabile dei posti di lavoro 83.000.
Le differenze tra Nord e Sud non sembrano meno gravi se si legge il dato sul differenziale di produttività per dipendente: più del 40% contro l’80% circa nel 2011. Ed anche se questo gap viene in parte compensato da un costo del lavoro più contenuto, finisce comunque per penalizzare le imprese e tutto il tessuto economico del Mezzogiorno, scoraggiando l’insediamento di nuove attività produttive.
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Perché tanta differenza? Per colpa del numero sempre più esiguo di imprese nel Mezzogiorno, soprattutto di grandi dimensioni (appena 50, dislocate soprattutto tra Campania, Abruzzo e Puglia).
A questo si aggiunga in tre anni la chiusura al Sud 7.400 imprese industriali, attestandosi a quota 370.014 del primo semestre del 2012 (più colpite le aziende manifatturiere):
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La conseguenza diretta è stata la flessione nel tasso di occupazione, a fronte di una diminuzione degli utili netti: perdita di 1.838 milioni e calo negli investimenti tecnici del 37% in 4 anni.
Uno scenario così fosco da far rivedere al ribasso le stime sul PIL 2013: da -0,6% a -1,1%.
Dati negativi anche quelli dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) sulle imprese edili del Mezzogiorno, dove la crisi del settore è ben più marcata: l’edilizia ha perso nell’ultimo anno il 2,8 di valore aggiunto nel Paese (-18,3% nel quadriennio 2008/2011) e ha segnato -5,4% nel 2011, con una riduzione degli investimenti del 4,4% (24% tra 2007 e 2011), 24 milioni di posti di lavoro bruciati in un anno (100 mila nell’ultimo quadriennio).
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È facile immaginare come dati tanto gravi possano ripercuotersi nel tessuto economico del Sud, considerando l’indotto che l’edilizia alimenta. La crisi in atto non basta a spiegare questo crollo verticale: esistono cause specifiche come i ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni (in media 8 mesi ma al Sud fino a 2 anni) e la rigidità del patto di stabilità, che impedisce agli enti di investire frenando lo sviluppo e la crescita delle aziende.