«Com’è possibile che il rilascio di un’autorizzazione sia regolato da una legge statale, da almeno ventuno leggi regionali e da circa ottomila regolamenti comunali troppo spesso diversi uno dall’altro?»: a porre la domanda è Giorgio Squinzi, neo presidente di Confindustria, nella sua relazione all’Assemblea Pubblica 2012 che segna anche l’effettivo inizio del suo mandato in sostituzione di Emma Marcegaglia.
Una domanda emblematica perché, secondo Squinzi, per uscire dalla crisi «senza precedenti» che le imprese italiane stanno vivendo, quella della pubblica amministrazione è «la madre di tutte le riforme».
Insieme alla semplificazione normativa, è la riforma che può maggiormente aiutare il Paese, e le imprese, a crescere.
Ma non è certo l’unica priorità indicata dal neo presidente di Viale Astronomia: basta ai ritardi nei pagamenti dalla PA (proseguire su questa strada dopo i recenti provvedimenti), continuare con le misure che facilitano l’accesso al credito delle imprese, riduzione della pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro (qui ci sono dati impressionanti proprio sulle PMI).
Una marcia in più sul fronte della relazioni industriali (Squinzi è critico sulla riforma del lavoro, insufficiente rispetto alle esigenze del mercato), spinta a ricerca e innovazione e all’education, puntare sull’internazionalizzazione accompagnata alla tutela del Made in Italy, ridurre il gap infrastrutturale, e poi ancora sostenibilità ambientale, energia, lotta alla criminalità, agenda digitale. Questo quanto prevede il programma di Squinzi.
Lo scenario: crisi e imprese
Quella del nuovo presidente «non sarà la Confindustria di Giorgio Squinzi. Sarà la Confindustria di tutti gli imprenditori veri: grandi, medi e piccoli». Un compito «non facile» prosegue Squinzi perché se è già stato molto duro quello di Emma Marcegaglia (definita donna «coraggiosa e appassionata» con «carattere e capacità di visione», alla quale è rivolto un sincero ringraziamento per i quattro anni di presidenza in cui «ha fatto moltissimo»), i prossimi quattro anni saranno ancora più difficili.
E se «fare l’imprenditore in Italia non è mai stato un mestiere facile», oggi «è diventata una sfida temeraria».
L’Italia accusa la crisi, più di altre nazioni europee e del mondo (il PIL è del 6% sotto ai livelli pre crisi, che invece sono stati riguardanti ad esempio da Germania e Usa). E «la bassa crescita in Italia è determinata soprattutto dalla difficoltà di fare impresa nel nostro paese».
C’è una concomitanza di due fattori deleteri per fare impresa: manca domanda (soprattutto interna) e manca liquidità. Una «spirale che mette a rischio la sopravvivenza stessa delle nostre imprese».
C’è un’emorragia che bisogna fermare, e che si misura attraverso tre emergenze:
- decine di migliaia di imprese che non sono sopravvissute alla crisi;
- oltre due milioni cinquecento mila persone che non trovano lavoro;
- il senso di sgomento che attraversa il Paese.
Bisogna fermare l’emorragia, rilanciando i consumi, certo, ma anche attraverso misure di lungo termine, piuttosto che fermando un «eccesso di finanza» che va risolto facendo tornare la finanza «alla sua missione originaria e naturale: supportare l’impresa nello sviluppo economico».
Capitolo primo: l’Europa
Squinzi non nasconde la preoccupazione per un’Europa che oggi «attraversa la fase più difficile: il rischio che l’intero Progetto si indebolisca o addirittura si sgretoli è reale». Ma subito rilancia con una previsione ottimista: «credo che l’Europa reggerà». Certo, dovrà essere «sempre meno somma di nazioni» e sempre più comunità. In sintesi, bisogna «rilanciare la prospettive degli Stati Uniti d’Europa».
Il discorso interessa da vicino le imprese, per una serie di motivi fra cui ne spiccano due: la moneta unica e le norme. Perché «il 70% della normativa italiana che interessa le imprese è di derivazione comunitaria».
Quindi, l’Europa deve coniugare meglio rigore e crescita, diventare una casa comune per fisco, welfare, infrastrutture, energia, e l’Italia è sempre stata e deve continuare ad essere una «forza fondamentale». Ma sul tavolo ci sono poi una serie di priorità tutte italiane, alcune attualissime.
Pubblica Amministrazione
È la prima, fra le questioni interne, che Squinzi ha scelto di affrontare nel suo discorso. Gli imprenditori italiani «continuano a investire, innovare, esportare, credere nel futuro» ma troppo spesso si scontrano con una «filiera produttiva del servizio pubblico» in cui, dalla creazione delle norme fino alla loro applicazione, «prosperano resistenze e inefficienze».
In questo contesto che il neo-presidente di Confindustria inserisce la domanda incredula sul numero di leggi che regolano il rilascio di un’autorizzazione. Dunque, ai vertici della filiera «c’è un tessuto normativo saturo, caratterizzato da regole irrazionali e contraddittorie».
I numeri parlano chiaro: nel Rapporto Doing Business della Banca Mondiale l’Italia è all’87esimo posto, superata da tutte le principali economie europee.
In materia ad esempio di norme tributarie (capitolo molto caro alle imprese) l’Italia è una giungla. Nell’ultimo decennio «ogni manovra è stata accompagnata da una miriade di norme tributarie inserite a forza nei decreti-legge, per motivi di gettito, regolarmente cambiate, in tutto o in parte, in sede di conversione o con provvedimenti successivi. Norme poco chiare, scoordinate dal resto dell’ordinamento, talvolta neppure attuate».
Un sistema fiscale efficiente deve essere stabile, mentre in Italia le regole «cambiano ogni mese». Squinzi sottolinea la condanna assoluta «per qualsiasi violenza e qualsiasi intimidazione nei confronti di funzionari dello Stato» (il riferimento è evidentemente a recenti episodi contro Equitalia, n.d.r.).
Bene la recente svolta nel senso delle semplificazioni, bene anche il disegno di legge delega per la riforma del sistema tributario recentemente approvato. Ma bisogna fare di più. Sul fronte normativo (come detto, eliminando le incertezze) e su quello delle procedure: giudici specializzati nel contenzioso tributario, e soprattutto meno procedimenti (dimezzare i numeri).
Debiti PA
Bene i decreti appena varati e gli accordi fra banche e imprese, ora bisogna «che lo Stato acceleri davvero i pagamenti, sia per quello che riguarda il debito pregresso, sia per quello che riguarda le nuove forniture».
E non si può più accettare che «lo Stato ritardi persino i rimborsi dei crediti IVA».
Pressione fiscale e spending review
Squinzi propone una riflessione interessante per le PMI: «nel 2011 il total tax rate, inclusivo di tutte le tasse e i prelievi, compresi gli oneri sociali, gravanti su una piccola impresa-tipo, era pari, in Italia, al 68,5%, contro il 52,8% in Svezia, il 46,7% in Germania, il 37,3% nel Regno Unito».
In più, c’è una burocrazia che per i soli adempimenti costa alle imprese 45 miliardi in più rispetto ai migliori esempi del resto d’Europa, e un’energia elettrica più cara mediamente del 30%.
E allora, i proventi della lotta all’evasione vanno usati per ridurre la pressione fiscale, sul lavoro e sull’impresa. E la spending review non deve solo essere «una bella analisi dei tagli possibili. Servono tagli veri».
Credito alle imprese
Bene i recenti provvedimenti del governo e gli accordi con il sistema bancario, ma le imprese chiedono sia alle banche sia allo Stato uno sforzo aggiuntivo. Alla moratoria sui debiti concordata va data attuazione effettiva, così come ai recenti accordi sui prestiti: la liquidità della Bce deve servire a far affluire liquidità alle imprese.
La crescita
Semplificazione normativa, giusitizia civile, accesso al credito, spending review, pagamenti PA, sono tutte cose che servono ad uscire dall’emergenza, ma per favorire la crescita bisogna spingere su altre leve:
- Ricerca e innovazione: l’Italia è in ritardo per investimenti pubblici e privati. Bisogna crescere nei settori ad alta tecnologia e diffondere al ricerca nelle imprese di ogni dimensione.
- Education: più istruzione, università migliori e con un maggior rapporto con le imprese.
- Internazionalizzazione e Made in Italy: rafforzare l’Ice, valorizzare l’opportunità offerta dall’Expo 2015, proteggere il Made in Italy anche con la lotta alla contraffazione.
- Infrastrutture: sono fondamentali per la competitività, bisogna ristrutturare il patrimonio esistente, alimentare l’afflusso di capitali privati nei progetti, realizzare un nuovo piano per l’edilizia e per l’efficienza energetica.
- Energia: il costo dell’energia è troppo alto, alle imprese l’elettricità da dieci anni costa il 30% in più della media europa. Bisogna lavorare sulla distribuzione, sulle nuove tecnologie, sul rispamrio energetico, sulla mobilità sostenibile.
Lavoro e relazione industriali
Qui Squinzi non nasconde le critiche alla riforma del lavoro attualmente in discussione in parlamento: «se la riforma delle pensioni è stata severa, ma necessaria, la riforma del mercato del lavoro appare meno utile alla competitività del Paese e delle imprese di quanto avremmo voluto». In più punti la riforma non è convincente. No all’ipotesi di una delega al governo per la partecipazione dei lavoratori alla gestione d’impresa, previsti da un emendamento approvato in commissione Senato, perchè Confindustria è contraria «a ogni imposizione per legge di forme di cogestione o codecisione».
Alle relazioni industriali viene dedicato un ampio capitolo. Squinzi punta sull’accordo «interconfederale del 28 giugno 2011», a cui bisogna dare attuazione. Quindi, sì al doppio livello di contrattazione, nazionale e aziendale. Come da accordi, bisogna definire l’effettiva rappresentatività delle parti. Poi, riduzione del numero dei contratti collettivi. In genere, «tutte le tipologie di imprese, dai grandi gruppi fino alle piccole meno sindacalizzate, devono avere la possibilità e gli strumenti per avere un “vestito contrattuale” su misura».
Crescita dimensionale imprese
Le imprese italiane sono mediamente troppo piccole, questo le penalizza sul fronte della ricerca e della competitizone globale. Strumenti utili: incentivi alla patrimonializzazione (come l’allowance for corporate equity del Salva Italia) e lo sviluppo delle reti d’impresa.