Troppe tasse per famiglie e imprese: una pressione fiscale che salirà sopra il 45%, così come prevede il DEF 2012 (Documento di Economia e Finanze), con il rischio concreto di un effetto recessivo, a discapito della crescita, su cui invece le politiche economiche devono continuare a puntare.
Sia la Corte dei Conti che la Banca d’Italia nelle audizioni davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato sul DEF hanno messo in guardia sul pericolo rappresentato dall’eccessiva pressione fiscale.
I Pro
Il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, e il vicedirettore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, hanno comunque promosso le politiche del Governo in materia di liberalizzazioni e rilancio della concorrenza, semplificazioni e lavoro.
In più hanno ammesso la necessità del rigore in un momento caratterizzato da una forte crisi anche a livello internazionale, così come hanno rassicurato sul fatto che l’impianto del DEF consente di escludere la necessità di nuove manovre correttive.
I Contro
Corte dei Conti e Bankitalia hanno tuttavia messo l’accento sull’eccessiva pressione fiscale e sugli effetti, negativi che questa rischia di avere sui consumi delle famiglie e sull’attività delle imprese.
Quanto alle proposte, se Bankitalia insiste sulla necessità di utilizzare i risparmi della spending review per abbassare la pressione fiscale (inserendosi, in qualche modo, in un solco già tracciato dal governo nel DEF), la Corte dei Conti individua una mancanza nelle politiche economiche e propone la relativa correzione: non si prevedono dismissioni, che invece sarebbero utili, magari pensando a un’apposita task force che permetta, fra l’altro, di non ripetere gli errori del passato.
Analisi della Corte dei Conti
Il presidente Gianpaolino ha lanciato un SOS pressione fiscale: «il pericolo di un corto circuito rigore/crescita non è dissipato nell’impianto del DEF 2012-2015, impegnato a definire il profilo di avvicinamento al pareggio di bilancio in
un arco di tempo molto breve». Proprio questi margini temporali ridotti, imposti dalle intese europee, complicano «la realizzabilità di una strategia di politica economica nella quale si compongano le esigenze di riequilibrio del bilancio con quelle della ripresa economica, affidata alle riforme strutturali».
Giampaolino non nega che questo sia un effetto difficile da evitare della crisi: nei quattro anni trascorsi dalla DEF 2009-2013 (presentato nel giugno 2008), il quadro nazionale e internazionale è drasticamente cambiato. Tutto questo si è tradotto «inevitabilmente nel ricorso al prelievo fiscale» ma ha forzato «una pressione già fuori linea nel confronto europeo» e genera «le condizioni per ulteriori effetti recessivi indotti dalle stesse restrizioni di bilancio».
Le cifre: nel quadro di finanza pubblica esposto nel DEF, a fronte di un «PIL nominale che non supererà lo 0,5% nell’anno in corso, il 2,4% nel 2013 e il 2,8% nel 2014, l’equilibrio dei conti è affidato a interventi correttivi cumulativamente stimati in circa 50 miliardi nel 2012, più di 75 miliardi nel 2013 e oltre 81 miliardi nel 2014».
E «la componente fiscale di tali interventi è altissima: circa l’82 per cento nel 2012, quasi il 70% nel 2013 e oltre il 65% nel 2014. La pressione fiscale salirà dal 42,5 % del 2011 ad oltre il 45% per l’intero triennio successivo».
La crisi comprime il reddito delle famiglie e anche gli utili delle imprese, con un impatto negativo delle manovre correttive 2012-2014 «di 2,6 punti percentuali con riguardo al Pil, di 3,5 punti con riguardo ai consumi delle famiglie e di quasi 5 punti con riguardo agli investimenti fissi lordi».
Proposte della Corte dei Conti
La Corte dei Conti promuove lo sforzo per la lotta all’evasione, al servizio della quale andrebbe anzi definito «un vero e proprio piano industriale che, partendo dall’analisi e dalla quantificazione del fenomeno» arrivi a definire «strategie ed azioni sia di contrasto, sia, ed ancor più, di induzione alla compliance».
Per quanto riguarda la diversa distribuzione del carico fiscale, c’è una considerazione sull‘IVA: Giampaolino propone una «approfondita tax review per riconsiderare l’inserimento dei diversi beni e servizi all’interno delle tre aliquote, anche qui in un’ottica di favorire quelli più legati alla crescita e quelli che maggiormente incidono sulle fasce sociali più deboli».
E poi, appunto, le dismissioni: in passato hanno dato esito insoddisfacente anche per «scarsa conoscenza delle condizioni di cedibilità dei cespiti e del rapporto costi/benefici, oltre che nella limitata capacità di gestione strategica dei processi da
parte delle competenti strutture amministrative». Ma ora una nuova politica di dismissioni potrebbe portare benefici in termini di riduzione del debito, della spesa per interessi, e consentirebbe di ridurre il ricorso al mercato, con un impatto positivo sullo spread.
Invece il DEF, pur annunciando un avvio di studi e lavori preparatori, stima «nella tavola relativa alle determinanti del debito pubblico, introiti da privatizzazioni, da qui al 2015 compreso, pari a zero». Un punto debole che va colmato, magari prevedendo all’intero nella sede del Governo «una task force operativa» che individui i cespiti cedibili, le informazioni sui relativi vincoli, le eventuali modifiche necessarie al quadro normativo per accelerare le dismissioni, e proponga «uno specifico piano industriale, completo delle indicazioni relative alla sua gestione attuativa».
Analisi di Bankitalia
Il vicedirettore generale di Bankitalia ha proposto un’analisi più morbida, mettendo l’accento sull’impatto positivo di una serie di provvedimenti già adottati (liberalizzazioni, semplificazioni) o in corso di approvazione (riforma del lavoro), sugli obiettivi del Pnr, il piano nazionale di riforme, e sulle iniziative a favore delle imprese (accesso al credito, utilizzo della liquidità della Bce).
Ma ha comunque sottolineato che la pressione fiscale sopra il 45%, prevista per i prossimi anni, «deve essere temporanea». Raggiunto il pareggio, i proventi della lotta all’evasione e i risparmi della revisione sistematica delle voci di spesa (spending review) devono essere utilizzati per «ridurre le elevate aliquote di prelievo» fiscale.
Bankitalia insiste molto sulle potenzialità della spending review: «azioni profonde di razionalizzaizone della spesa pubblica» spiega Salvatore Rossi «consentirebbero obiettivi di medio termine sulla spesa più ambiziosi di quelli delineati nel DEF, come ad esempio mantenere la spesa primaria costante in termini nominali dopo il 2013».
E se i risparmi venissero poi destinati ad abbassare le tasse, «la pressione fiscale potrebbe ridursi nel periodo 2014-16 di oltre tre punti percentuali rispetto al livello atteso per il 2013, riportandosi a un meno penalizzante 42%, appena sotto il livello del 2010». Certo, «rimarrebbe verosimilmente un divario rispetto alla media degli altri paesi dell’area dell’euro» in cui nel 2010 la pressione fiscale «era inferiore al 40%».