Collaborano poco, nella maggior parte dei casi su progetti specifici e non sul lungo termine, anche perchè si conoscono poco: stiamo parlando di aziende, e più in particolare delle partnership fra imprese non profit e for profit, che in Italia sono una realtà in espansione ma che ancora risultano discontinue.
Una miglior organizzazione delle strutture dedicate e un approccio più strategico potrebbero invece portare allo sviluppo di partnership più efficaci. La fotografia è scattata da una ricerca della Divisione Ricerche e del Master in Management delle imprese sociali, non profit e cooperative della Sda Bocconi in collaborazione con Mediafriends.
Le iniziative di co-business, la forma più evoluta di partnership, riguardano solo il 16% del campione non profit e il 20% del profit. Le tipologie più diffuse di partnership sono rappresentate da quelle che vengono definite le forme più elementari di collaborazione, ovvero le erogazioni liberali e le sponsorizzazioni.
Secondo lo studio, nel 2009 solo il 13% delle entrate delle aziende non profit derivava da partnership con imprese profit, nella maggioranza dei casi collaborazioni limitate a progetti specifici, non ad accordi con una visione di lungo termine.
La ricerca è stata condotta attraverso questionari, focus group e lo studio di best practice su circa 400 aziende profit e non profit impegnate in partnership trasversali.
In generale, il mondo del profit risulta più orientato a una collaborazione anche sugli obiettivi mentre quello non profit interpreta la partnership più come una modalità per raccogliere fondi.
Le aziende del non profit sono quelle che percepiscono i maggiori rischi dalla collaborazione: nel 60% dei casi collegano a queste partnership elementi negativi, citando per esempio ragioni come l’atteggiamento utilitaristico delle aziende profit e l’onerosità del processo. Viceversa, le aziende profit associano attributi positivi nel 75% dei casi.
Ci sono una serie di considerazioni sugli elementi chiave per il successo di una partnership fra aziende di questi due settori: il livello di managerializzazione del non profit e l’orientamento alla responsabilità sociale nel profit. Per quanto riguarda questo secondo punto, lo studio rileva che l’87% delle imprese for profit svolge attività di responsabilità sociale in maniera costante e strutturata ma solo il 50% redige un bilancio sociale, contro il 74% delle non profit.
Sulla managerializzazione del non profit, emerge invece che il 79% delle aziende del settore ha una struttura dedicata al fund raising, ma molto spesso non ha una funzione espressamente dedicata alla cura dei rapporti con le imprese.
In genere, la partnership nasce nel seguente modo: le aziende profit sono contattate dalle non profit le quali fanno questo passo seguendo relazioni casuali più che una strategia pianificata. Viceversa, le aziende profit si muovono secondo principi più strategici, e il legame con il personale delle non profit è meno rilevante.
«Le partnership hanno ancora un carattere discontinuo e il fenomeno è in fase di sviluppo», spiega Federica Bandini, direttore del Master in management delle Imprese Sociali, Non Profit e Cooperative della SDA Bocconi e coordinatrice della ricerca, che prosegue: «le due culture appaiono ancora troppo distanti e non sono allineate. I principali ostacoli per una maggiore collaborazione sembrano essere la scarsa conoscenza delle reciproche modalità operative, i pregiudizi e l’assenza di competenze manageriali specifiche».
Le linee guida identificate dallo studio per sviluppare collaborazioni più soddisfacenti riguardano un maggior attenzione all’organizzazione delle strutture di supporto, la definizione di obiettivi, la chiarezza di contatti e degli accordi. Linee «fondamentali per creare un maggiore coinvolgimento nella partnership di entrambi gli attori» conclude Bandini, secondo cui con una miglior collaborazione «le imprese possono migliorare i rapporti con il territorio e la società civile e rafforzare il coinvolgimento dei dipendenti e degli stakeholder» mentre le non profit possono «ottenere maggiori risorse umane e finanziarie e un passaggio di competenze manageriali, grazie alla contaminazione positiva con manager e imprenditori».