L’Italia è in recessione tecnica, con un PIL in calo congiunturale per il secondo trimestre consecutivo ed una crescita 2011 di appena lo 0,4%: lo rivela l’Istat, senza tuttavia destare particolare sorpresa. Poco scalpore anche per quanto riguarda l’ennesimo declassamento: con un po’ di ingenuità, verrebbe da pensare che ormai i mercati finanziari tendano a non preoccuparsi troppo dei tagli delle agenzie di rating.
Italia: downgrade e recessione sotto controllo
Lo dimostra l’andamento “normale” di Piazza Affari dopo il downgrade di Moody’s. E anche lo spread non ha registrato particolari scossoni. Del resto, il taglio arriva dopo quelli di Fitch e di Standard and Poor’s, ed era atteso e l’Italia è stata degradata “solo” di un gradino (mentre negli altri due casi il ribasso era stato di due notch): passando da A2 ad A3, mantiene la A.
E nella motivazione delle decisioni, l’agenzia spiega che «le prospettive macroeconomiche europee sono sempre più deboli, fatto che minaccia l’applicazione delle misure di austerity approvate nei singoli stati e le riforme strutturali necessarie per promuovere la competitività».
Sull‘Italia, i due elementi di debolezza sono l’alto debito e la bassa crescita. E l’outlook negativo è motivato dalle ripercussioni che, sull’economia del paese, potrebbe avere un peggioramento della crisi del debito europea.
Reazione dei mercati
Comunque sia, i mercati hanno reagito bene, malgrado queste siano giornate particolarmente delicate sul fronte della crisi del debito, con lo stallo sul salvataggio alla Grecia.
Da una parte, la reazione delle Borse è da attribuirsi al fatto che il downgrade era atteso, e quindi era stato già scontato.
Ma c’è anche un altro elemento: in pratica è stato evitato quello che, dopo il declassamento di metà gennaio di S&P (che ha portato l’Italia a BBB+, ovvero in serie B), era il rischio più grosso: perdere la A anche da parte di una seconda agenzia di rating avrebbe potuto avere ripercussioni anche notevoli sui costi di finanziamento delle banche (se almeno due agenzie tolgono la A, scattano nuovi parametri patrimoniali sul mercato interbancario).
Effetti sul credito
Inutile sottolineare come nuovi problemi di accesso alla liquidità per le banche non farebbero che peggiorare la già difficile situazione dell’accesso al credito delle aziende, Pmi in testa.
Il livello di rating ha fra l’altro riflessi che interessano anche i risparmiatori, perchè ad esempio può porre dei probelmi tecnici ai gestori dei fondi: alcuni fondi hanno in statuto regole che impediscono di investire in titoli che non hanno la A, o che prevedono addirittura di disinvestire. A questo proposito, si segnala che recentemente è intervenuta, fra gli altri, Assogestioni, da una parte sottolineando che le emissioni italiane (i titoli di stato) soddisfano i paramentri attuali previsti dalla classificazione della stessa Assogestioni (e continuano a soddisfarli anche dopo il downgrade di Moody’s, si potrebbe aggiungere), dall’altra annuncia che si sta valutazione la possibile riduzione del limite minimo di rating previsto per le emissioni sovrane detenute dai fondi di liquidità, che verrebbe portato al livello di investment grade (in cui rientra anche il giudizio peggiore, quello di S&P).
Prospettive positive
Dunque, il sistema finanziario italiano si è mosso per tempo per evitare tutti i possibili “effetti collaterali” delle mosse delle agenzie.
Infine, c’è anche un secondo elemento “positivo” da tenere in considerazione in relazione al taglio di Moody’s: l’agenzia ha lasciato il rating più alto, ovvero la tripla A, al Fondo Salva Stati Europeo, che invece S&P a metà gennaio ha tagliato, portandolo a livello AA.
Tornando all’Italia, anche la Commissione Europea, nel primo rapporto dedicato agli squilibri macroeconomici dei paesi Ue, presentato dal commissario agli Affari Economici e Monetari Olli Rehn, segnala che, per quanto riguarda l’Italia, «il debito (pubblico) molto alto e il basso potenziale di crescita pongono delle sfide che dobbiamo analizzare con maggiore attenzione».