Quando si parla di investimenti all’estero poche volte si fa davvero riferimento all’internazionalizzazione dell’intero ciclo di vita di un’azienda, dalla produzione alla vendita.
Dalle ultime indagini sulle aziende operanti all’estero da più di 10 anni, il 93% ricerca nuovi clienti fuori dall’Italia attraverso l’export, mentre il 23% si sposta su mercati oltre confine principalmente per ridurre i costi di produzione. Una percentuale di Pmi, dunque, si delocalizza solo per la fase della produzione.
«La delocalizzazione ha due principali risvolti, uno costruttivo e uno distruttivo», afferma Tina Badaracco, Managing Director di B&C, il primo «implicando la vendita dei propri prodotti nei mercati stranieri, è volto alla crescita di entrambi i Paesi».
Mentre il secondo rappresenta «una mera occasione per ottenere manodopera a basso costo: le aziende che hanno scelto quest’ultimo approccio non sono “internazionali” per questo, non fanno Internazionalizzazione ma economia. Mettersi davvero in contatto col Paese di riferimento, vuol dire individuare anche dei partner locali in modo che la delocalizzazione non sia sinonimo di impoverimento, bensì una reale occasione di sviluppo».
Per implementare il successo al di là dei confini italiani è importante comprendere meglio il contesto in cui si vuole investire, i competitor e i clienti che si incontreranno.
Il 43% delle Pmi non effettua ricerche di mercato, spesso considerate irraggiungibili e riservate ad aziende di grandi dimensioni. Esistono, invece, strumenti di ricerca adatti alle imprese di dimensioni ridotte e utili per incrementare le opportunità di crescita.
Per la dott.ssa Badaracco, alla quale abbiamo posto alcune domande, «l’analisi del mercato estero è un passo indispensabile per qualunque impresa voglia spingersi verso l’internazionalizzazione. L’imprenditore può effettuare una prima esamina con le proprie risorse umane – se competenti in materia di analisi di mercato – attraverso una desk research (indagine perlustrativa) sul canale Internet. Successivamente, gli si prospettano due strade: l’internazionalizzazione “fai da te” per la quale occorrono tempi e conoscenze specifiche che non sempre esistono internamente all’impresa. L’altra strada è quella di farsi supportare da professionisti dell’internazionalizzazione, che possano garantire la razionalizzazione di ogni passaggio».
Quali sono gli elementi da analizzare in un mercato estero?
«Un territorio va conosciuto a livello di consumi e produzioni, di Rischio Paese economico e culturale, di competitor nazionali ed internazionali. Persino conoscere il costo del pane e del latte, le cadenze delle feste religiose, è fondamentale per approcciarsi ad un nuovo mercato».
Quali sono gli step successivi alla fase analitica?
- «ricercare finanziamenti (italiani, comunitari e locali);
- stringere rapporti con le Banche e le Autorità locali e le associazioni di categoria che possano favorire l’internazionalizzazione».
Tutte le aziende possono attivare un processo di Internazionalizzazione?
Stavolta lo chiediamo al dott. Marcelo Evangelista, economista esperto di internazionalizzazione, consulente della Commissione Europea, BID, MAE e altri organismi internazionali, attualmente a capo della Divisione Internazionale di B&C: «La necessità di una impresa di crescere e ampliare mercati è una condizione necessaria, ma non sufficiente per affrontare l’internazionalizzazione. Bisogna essere convinti dei propri obiettivi per entrare e rimanere su nuovi mercati. Verificare la “vocazione d’impresa all’internazionalizzazione” è la conditio sine qua non, trasversale ad ogni successivo step operativo. Questo vuol dire verificarne le risorse (economiche, umane e di prodotto), ma soprattutto le linee strategiche. Internazionalizzazione vuol dire partnership e informazione sul proprio mercato di riferimento e sui mercati-obiettivo con trend economici positivi e non saturati da prodotti alternativi, né barriere all’ingresso insormontabili».
Quali sono i prodotti maggiormente “esportabili” all’estero?
«Sicuramente i prodotti caratteristici dell’export italiano, rappresentativi dell’Italian Design, dell’Agro-Alimentare e dell’Automazione Meccanica. A questi si possono aggiungere quelli di più recente espansione come quelli della Diagnostica e Biomedicale, la Cosmetica, l’Impiantistica e anche la Nautica. Ma è la conoscenza più ampia del proprio prodotto, e di quello che i mercati chiedono, a determinare la sua idoneità internazionale».
L’internazionalizzazione, sottolinea Evangelista, non ammette improvvisazione, ogni fase deve già prevedere la mappatura degli step successivi, con pianificazione di deadline e responsability per sapere chi fa cosa quando.
L’internazionalizzazione dunque, nella sua accezione virtuosa, si dimostra uno strumento volto alla creazione di valore, sistemico – compartecipato – organizzato.