Il primo provvedimento di restrizione sulle vendite allo scoperto da parte della Consob risale all’estate scorsa, e da allora è stato prorogato due volte, l’ultima delle quali proprio in queste ore: la proroga decisa nel novembre scorso vietava le posizioni ribassiste sui titoli finanziari (banche e assicurazioni) fino al 15 gennaio 2012, mentre ora la Consob – autorità italiana di regolamentazione dei mercati – ha deciso che i divieti proseguiranno fino al prossimo 24 febbraio 2012.
Si tratta di una questione che può sembrare molto tecnica, ma che è di grande interesse per gli investitori e per chi si interessa alle vicende economiche e finanziarie degli ultimi mesi e anni: le vendite allo scoperto e altri strumenti finanziari speculativi (come i Cds), sono al centro di uno sforzo di regolamentazione comune europea, che dovrebbe arrivare a compimento entro l’estate prossima.
L’obiettivo è di impedire distorsioni di mercato e grandi movimenti speculativi come quelli che, negli ultimi due anni, hanno a più riprese impattato addirittura sul debito sovrano degli Stati.
Molti, fra osservatori ed economisti, hanno più volte fatto presente come quel sistema finanziario, che ha provocato il grande crollo del 2008 e che in buona parte è stato poi salvato dagli Stati, abbia in seguito messo a dura prova proprio la tenuta degli stessi (la crisi del debito europea è stata, di fatto, alimentata anche dall’occasione speculativa che ha rappresentato).
Il provvedimento della Consob
La Commissione di vigilanza sulla borsa ha prorogato fino al 24 febbraio 2012 il provvedimento restrittivo sulle posizioni nette corte sulle azioni del comparto finanziario, adottato il 12 agosto scorso e poi prorogato fino al 15 gennaio 2012 con la delibera n. 17992 dell’11 novembre scorso. Quindi non si possono assumere o incrementare le posizioni nette corte, ossia le posizioni ribassiste, calcolate come differenza fra le attività in vendita e in acquisto, tenuto conto di tutti gli strumenti finanziari, compresi quelli derivati e su indici.
Restano invece in vigore a tempo indeterminato le altre misure a suo tempo adottate: gli obblighi di comunicazione alla Consob delle posizioni ribassiste su tutte le società quotate in Italia introdotti il 10 luglio scorso con la delibera n. 17862 e il divieto di vendite allo scoperto “nude” su tutte le azioni quotate sui mercati regolamentati italiani indipendentemente da dove sono negoziate previsto dalla delibera n. 17993 dell’11 novembre 2011.
La decisione è stata presa in considerazione del perdurare «delle eccezionali condizioni di mercato che hanno giustificato la adozione delle misure tutte contenute nelle delibere sopra citate» e delle «analoghe disposizioni restrittive adottate dalle competenti Autorità di Francia, Belgio e Spagna in materia di posizioni nette corte». La Consob ritiene che «per garantire l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori, sia necessario e indifferibile prorogare le misure restrittive in materia di posizioni nette corte su titoli azionari del comparto finanziario, fatta salva la possibilità in ogni momento di una loro modifica o revoca, in ragione di mutamenti delle condizioni di mercato e, per quanto possibile, in accordo con le altre competenti Autorità europee che hanno adottato analoghe misure».
Si tratta di un provvedimento che nei mesi scorsi ha provocato non poche polemiche e critiche anche relative alla sua efficacia. Proprio nei giorni scorsi, con l’altalena in Piazza Affari del titolo Unicredit sotto aumento di capitale, da più parti è stato avanzato il dubbio che la regola sia stata aggirata, e la stessa Consob ha aperto un’indagine.
Le vendite allo scoperto
Le vendite allo scoperto (short selling) sono sostanzialmente scommesse al ribasso. Un investitore (persona fisica o giuridica che sia) vende titoli che non possiede, promettendone la consegna in una data successiva all’acquisto: se nel frattempo il titolo scende, ci ha guadagnato. Le vendite allo scoperto “normali”, ovvero il semplice short selling, prevede che l’investitore, pur non avendo il titolo che sta vendendo, provveda a prenderlo in prestito (o a formulare accordi per prenderlo in prestito), mentre la vendita naked, ovvero nuda, avviene senza che l’investitore prenda il prestito il titolo o fornisca garanzie al riguardo.
Si tratta di uno strumento speculativo normale e diffusissimo su tutti i mercati del mondo, che però negli ultimi anni, anche con il proliferare di complessi strumenti derivati che giocano su coperture e ricoperture e di mercati non regolamentati, ha assunto proporzioni che spesso e volentieri hanno provocato l’intervento delle autorità di borsa e non solo.
Allo studio, ci sono misure anche da parte dell’Unione Europea, che nell’ottobre scorso ha impostato una tabella di marcia di riforme finanziarie che fra le altre cose prevede una regolamentazione più stringente sulle vendite allo scoperto e sui Cds, i credit default swap, sostanzialmente delle assicurazioni contro il rischio rappresentato dai bond, compresi i titoli di stato. Fra le varie misure, che dovrebbero entrare in vigore a metà di questo 2012, il divieto di vendite allo scoperto sui Cds sovrani naked, ovvero le scommesse ribassiste sul debito sovrano degli stati da parte di investitori che non prendono in prestito il titolo e non danno garanzie per poterlo fare.