Crisi del debito in Italia: consigli a Governo e Pmi

di Barbara Weisz

Pubblicato 8 Dicembre 2011
Aggiornato 9 Agosto 2013 12:24

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La ricetta globale anti-spread in dodici azioni, proposta degli analisti finanziari dell'Aiaf, tocca anche l'Italia, e interessa da vicino sia le strategie del nuovo Governo Monti sia le politiche che vedono protagoniste le Pmi.

A pochi giorni dal varo della Manovra Monti (DL recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici“), cerchiamo di capire quanto le misure previste dal pacchetto anti-crisi di fine 2011 trovino corrispondenza con le strategie pensate dagli esperti di settore.

La ricetta anti-spread messa a punto dagli analisti finanziari dell’Aiaf tocca infatti anche anche l’Italia: in relazione alla crisi del debito, premesso che i fondamentali della nostra economia sono «profondamente diversi da quelli della Grecia», i due obiettivi primari sono: rilanciare la crescita e aggredire il debito pubblico. E fin qui ci siamo.

Le linee guida per la crescita italiana sarebbero quindi: liberalizzazione delle professioni (già avviata con la Legge di Stabilità, ndr); riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Fra le misure che ci si aspettava, incentivazione delle assunzioni a tempo indeterminato e riforma della legislazione sul licenziamento. E qui ci siamo solo in parte.

Ci sono poi i suggerimenti che riguardano da vicino le aziende, e nello specifico le Pmi, come il riordino della legislazione incentivante per le imprese, reintroducendo agevolazioni, incentivando le reti d’imprese, il venture capital e lo sviluppo dimensionale e internazionale attraverso l’associazione di agevolazioni fiscali a conferimenti dei soci o l’emissione di obbligazioni di scopo per progetti di internazionalizzazione. Gli obiettivi sono gli stessi di molte misure Monti.

E ancora, un riforma fiscale che riduca il carico su lavoratori e imprese (oltre ad agire si costi della politica e sulla lotta a evasione e corruzione). E qui i primi dolori.

Attesi anche interventi sul Mezzogiorno per incentivare l’attività d’impresa, interventi sulle infrastrutture, investimenti in istruzione e innovazione. In questo caso le aspettative sono state soddisfatte solo in parte.

Fra le misure per ridurre il debito, gli analisti indicano la necessità di non penalizzare la crescita, anzi di aiutarla con misure di sostegno al ciclo, e quella di intervenire, eventualmente, con interventi fiscali temporanei sul patrimonio privato (che in parole molto semplici significa patrimoniale).

Ipotesi di patrimoniale

LAiaf avanzava una proposta molto precisa:  tassazione sul 10% della popolazione che, escludendo dal patrimonio le abitazioni principali, possiede il 45% della ricchezza (secondo i dati 2008 di Bankitalia, il 10% della popolazione ha una ricchezza netta superiore a 530mila euro).

L’Aiaf ipotizzava una patrimoniale del cinque per mille all’anno, da applicare per dieci o per 20 anni. Nel primo caso, le entrate complessive sarebbero state di 155 miliardi di euro (15,5 mld all’anno per 10 anni), nel secondo caso sarebbero aumentate a 310 miliardi (15,5 miliardi di euro all’anno per 20 anni).

Per evitare la fuga di capitale, l’imposizione dovrebbe riguardare il patrimonio corrente ed essere appunto dilazionata per 10 o 20 anni. Prevedendo un numero inferiore di anni, il prelievo sarebbe decisamente più alto.

Ad esempio, simulando uno scenario di costo del debito all’8% e di recessione nel 2012 (non lontanissimo da quello che emerge in questi giorni, si potrebbe aggiungere, n.d.r.), sarebbe necessaria un’imposta patrimoniale del 3,2% all’anno per due anni su tutta la popolazione e su tutta la ricchezza (ad esclusione di abitazioni principali e titoli di Stato) al fine di consentire la discesa del rapporto debito/PIL al 100%.

L’analisi degli economisti

Quanto ai commenti degli economisti, il direttore generale del Debito Pubblico del ministero dell’Economia, Maria Cannata, spiega che non solo l’Italia non è la Grecia, ma le differenze fra i due paesi sono notevoli: «c’è un abisso dal punto di vista dell’economia, dei fondamentali, della capacità di ripresa».

Donato Masciandaro, docente di Economia Politica alla Bocconi, sottolinea che in Europa «c’è stato un fallimento della regolamentazione». E aggiunge: «la palla di neve che poi è diventata valanga è nata con la decisione nella crisi greca di permettere le perdite agli investitori privati. Come se non bastasse nell’ultimo G20 si è affermato che la Grecia può fallire e uscire dall’euro».

Andrea Munari, direttore generale di Banca Imi, sottolinea invece il disorientamento degli investitori davanti alla crisi del debito, e spiega: «il debito pubblico è anche un bene pubblico perché con esso si parametra tutta una serie di attività».

Spread e Pmi

Infine, vale la pena di approfondire in che modo l’andamento dello spread, e i costi ad esso legati, possano preoccupare le Pmi. Se prima «facevano fatica ad avere finanziamenti solo le imprese in difficoltà, oggi la situazione tende ad accomunare un po’ tutte» spiega ad esempio Bruno Scuotto, presidente della Piccola Industria di Confindustria Campania.

Lo spread, aggiunge Stefano Manzocchi, direttore della Luiss Lab of European Economics, è «un disastro per le imprese italiane, ma anche per le banche», perchè «è come se aumentasse il tasso di cambio reale e a confronto il costo del lavoro e la burocrazia sono bazzecole: o si riescono a proteggere le imprese e il mondo del credito o sono in gioco la tenuta del nostro sistema manifatturiero, secondo solo alla Germania, e la permanenza nella zona euro».

In realtà, è bene precisare che non c’è alcun automatismo che lega l’andamento del differenziale (spread, appunto) fra Btp italiano e Bund tedesco e il costo dei prestiti concessi dalle banche. Ma certo le banche tendono a trasferire i costi sui prodotti offerti alla clientela.

Fra le strategie di difesa che le imprese possono adottare, Franco Rebuffo, presidente della società dI consulenza Aletheia, ritiene che le pmi «devono pensare che la sola eccellenza commerciale non basta più e deve essere affiancata da una strategia finanziaria di medio-lungo termine». Ad esempio, serve «una logica nuova nel rapporto tra banca e impresa all’insegna della partnership, con prestiti focalizzati su precise strategie aziendali».

Claudio Orsini, consulente di strategia d’impresa, sottolinea che se le imprese non possono incidere sulle condizioni che le banche applicano in relazione ai costi della raccolta, possono invece migliorare il proprio rating aziendale per spuntare condizioni migliori. Ad esempio, «in questo periodo le aziende dovrebbero già sapere come si chiuderà il bilancio 2011 e conoscere l’eventuale impatto sul rating attribuito dalla banca per valutare manovre correttive prima della chiusura dell’esercizio».

In generale, può essere consigliabile diversificare i rapporti con le banche, scegliendo magari di volta in volta le migliori condizioni di finanziamento. E poi, per le Pmi così come per il sistema paese, ricorrere un po’ meno all’indebitamento, se necessario ricapitalizzare, e puntare sulla crescita, magari attraverso l’internazionalizzazione e gli investimenti in tecnologia e innovazione.