Il problema si è posto da subito: il nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti previsto dal Jobs Act, che prevede meno garanzie contro il licenziamento rispetto al vecchio tempo indeterminato, avrà conseguenze sensibili sulla possibilità di ottenere mutui per acquistare la casa? Una risposta certa al momento non si può dare, visto che il nuovo indeterminato a tutele crescenti è in vigore dallo scorso 7 marzo e, dunque, ancora non ci sono dati su come si comporteranno le banche.
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Ci sono, in compenso, due elementi contrastanti su cui riflettere: da una parte una dichiarazione del presidente dell’ABI (banche italiane), Giorgio Patuelli, del tutto rassicurante sul fatto che le banche vedranno di buon occhio il nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti per la concessione dei mutui. Anzi, per Patuelli, i mutui sono destinati ad aumentare nel caso in cui lo strumento, come da intenzioni del Governo, alimenti nuove assunzioni, spingendo quindi un maggior numero di lavoratori ad acquistare la casa e a chiedere mutui. Dall’altra, ci sono dubbi sollevati da più parti sul fatto che il nuovo contratto presenta meno garanzie rispetto al vecchio e anche una specifica inchiesta di Repubblica che mette in luce una serie di criticità.
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Partiamo dalle dichiarazioni di Patuelli:
«Guardiamo con una disposizione favorevole al nuovo contratto, ci attendiamo un aumento di assunzioni a tempo indeterminato, destinato ad assorbire alcune forme contrattuali precarie. Sono convinto che i neoassunti con il contratto a tutele crescenti saranno bene visti dalle banche, che sono pronte ad accogliere positivamente la richiesta di prestiti e mutui avanzata da lavoratori stabilizzati».
Come si vede, toni rassicuranti da parte del presidente dell’ABI, che però non sembrano confortati, almeno per il momento, dai fatti.
Inchiesta sui mutui
Due giornalisti di Repubblica, Matteo Pucciarelli e Silvia Valenti, hanno svolto una specifica inchiesta, presentandosi in una decina di banche fingendosi una coppia che chiedeva un mutuo per una casa a Milano da 200 milioni di euro, 70mila come anticipo. Il mutuo serviva a corpire il 65% dell’acquisto, dunque, (in genere, il massimo è l’80%). La somma richiesta: 130mila euro. Si presentavano come una giovane coppia di trentenni con due contratti di assunzione a tempo indeterminato, uno a tutele crescenti, per un importo di 1600 euro al mese, l’altro con il vecchio tempo indeterminato, con stipendio di 1200 euro al mese. Ebbene, una sola banca ha dichiarato disponibilità a concedere il mutuo, mentre tre hanno dato risposta negativa, quattro hanno preso tempo, due non hanno risposto.
Informazioni sul contratto a tutele crescenti
Va fatta una precisazione importante: il problema fondamentale emerso dall’inchiesta non è l’indisponibilità a concedere un mutuo, ma la scarsa conoscenza da parte delle banche del nuovo contratto a tuele crescenti. Si tratta di un nuovo strumento sul quale, evidentemente, ancora non c’è una preparazione adeguata da parte degli operatori e dei consulenti a cui ci si rivolge per ottenere i mutui. È in generale un problema che molto spesso emerge davanti a novità normative.
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Nella maggior parte dei casi le banche hanno chiesto tempo, per acquisire ad esempio documentazione storica sulle busta paga dell’assunto a tutele crescenti (che, nella coppia in questione, rappresentava lo stipendio più alto), nel senso che si rimandava la decisione di qualche mese, alcuni hanno chiesto almeno sei buste paga pregresse. Non sono mancati casi in cui di fatto l’orientamento iniziale è stato quello di considerare il contratto a tutele crescenti in modo simile a un contratto parasubordinato (caso in cui, spesso, si chiedono ulteriori garanzie).
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Tutto con un’unica eccezione: l’unica banca che ha detto sì senza fare una piega è Deutsche Bank (fra le poche banche straniere interpellate nell’inchiesta, la maggioranza nel panel è stato rappresentato da istituti di credito italiani). L’impiegato a cui la giovane coppia si è rivolta ha risposto, semplicemente: «se non lo diamo a voi, il mutuo, a chi dobbiamo darlo?».
Mercato mutui e articolo 18
Al di là dell’auspicio che nelle banche si promuova una maggior informazione sugli strumenti contrattuali previsti in Italia, è difficile non commentare che, in effetti, se non si fanno mutui a giovani coppie con due contratti a tempo indeterminato, quale che sia la protezione prevista in materia di articolo 18 e reintegro, sembra difficile che il mercato dei mutui possa riprendersi come tutti auspicano. Vale la pena di fare un’ulteriore considerazione, suggerita dal fatto che, forse non a caso, a dare la risposta più positiva è stata una banca straniera: l’articolo 18 è una protezione contro il licenziamento che esiste quasi solo in Italia, eppure i mutui in tutto il resto del mondo vengono concessi. È vero che è stata proprio una bolla immobiliare provocata dai mutui subprime (che erano al 100%) a provocare la più grave crisi finanziaria di tutti i tempi, ed è anche vero che le banche italiane sono state fra le meno copite dalla prima ondata finanziaria della crisi proprio perché poco esposte sul fronte dei subprime. Però il problema è stata una bolla finanziaria creata e alimentata da strumenti di finanza derivata pensati per proteggere le banche dal rischio e poi sfuggiti di mano. Non certo i contratti di lavoro e l’articolo 18. È anche vero che il mercato del lavoro italiano presenta rigidità molto superiori a quelle di altri paesi. A migliorare questa situazione, in effetti, dovrebbe servire il Jobs Act. Forse è questo il vero interrogativo che bisognerebbe porsi.