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Troppe tasse e poca manifattura: Italia in panne

di Barbara Weisz

Pubblicato 4 Giugno 2014
Aggiornato 28 Settembre 2014 08:42

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Il declino industriale fa arretrare l'Italia del Manifatturiero, mentre le tasse su redditi, lavoro e impresa restano al top d'Europa: l'impietosa fotografia di Confindustria e Corte dei Conti.

Speriamo che l’Italia del calcio nelle classifiche mondiali riesca a comportarsi meglio di quella economica, perché in un solo giorno arrivano due posizionamenti non proprio brillanti. Il primo riguarda un tradizionale punto debole, il fisco (troppe tasse): nella graduatoria europea elaborata dalla Corte dei Conti l’Italia si accaparra il triste primato di paese con le maggiori imposte sulle imprese  e il non molto migliore secondo posto per le tasse sui redditi da lavoro; il secondo tocca quel che dovrebbe essere un fiore all’occhiello, il Manifatturiero: secondo il report del Centro Studi Confindustria dedicato agli “Scenari industriali“, in sei anni siamo passati dal quinto all’ottavo posto sorpassati da Corea del Sud, India e Brasile.

=> Crisi e manifatturiero: PMI italiane fra difesa e rilancio

Manifatturiero in crisi

“Campione del mondo” nell’industria manifatturiera è la Cina, secondi gli Stati Uniti, terzo il Giappone. La Germania mantiene il quarto posto seguita dalla Corea del Sud. Seguono India, Brasile, Italia, Francia e Russia. In Italia, il declino industriale si sta imponendo come priorità dell’agenda di politica economica del Paese, toccando da vicino le PMI.Fra l’altro, l’erosione della base manifatturiera italiana si registra mentre «nel mondo prosegue l’espansione della manifattura». Dal 2000 al 2013, la produzione manifatturiera mondiale è cresciuta del 36%, mentre quella italiana è scesa del 25%, con cadute in tutti i settori con l’unica eccezione dell’alimentare. Ancora: dal 2011 al 2013, l’industria manifatturiera italiana ha perso 1 milione 160mila addetti e 120mila imprese. Ci sono state perdite significative anche in settori importanti del Made in Italy come il tessile, l’abbigliamento e il mobile.

I motivi? Contrazione di investimenti e consumi interni e crisi finanziaria, che in Italia «si è protratta più a lungo e con effetti più distruttivi che altrove» e, «a fronte di un aumento della produzione industriale mondiale che nel periodo 2007-2013 è stato di quasi il 10% (a prezzi costanti)» nella Penisola «c’è stato contemporaneamente un crollo del 25,5%». E insieme al calo della domanda interna, pesano il difficile accesso al credito, l’alto costo del lavoro slegato dalla produttività, la bassa redditività.

Tasse

Nel Rapporto 2014 della Corte dei Cont sulla Finanza pubblica, presentato in Senato, la pressione fiscale nel Paese risulta altissima (43,8%), quasi quattro punti sopra la media europea. A peggiorare le cose interviene la distribuzione del peso fiscale, con «uno squilibrio fra l’onere a carico dei fattori produttivi e quello sopportato dai consumi e dal patrimonio». Classifica: l’Italia è il paese con le tasse più alte d’Europa sulle imprese (25%), mentre scendono di poco quelle sui redditi da lavoro (42,3%). Viceversa, siamo al 24esimo posto nel prelievo sui consumi con il 17,4% (tre punti sotto la media), mentre per quanto riguarda il patrimonio l’IMU ha portato il prelievo in linea con il resto d’Europa.

=> La pressione fiscale in Italia dal 2014

Fre le prime cause delle difficoltà del sistema produttivo, dell’elevato costo del lavoro, dello squilibrio dei conti pubblici e del malessere sociale esistente c’è l’evasione fiscale. Considerando la sola IRPEF, abbiamo un tasso di evasione pari al 13,5% dei redditi. Quanto a IRAP e IVA, nel 2011 il vuoto di gettito determinato dall’evasione è stato superiore ai 50 miliardi.  L’Italia è fra i paesi europei con la più ampia economia sommersa, che pesa per circa il 21% del PIL: davanti a noi, Estonia, Grecia, Cipro, Malta e Slovenia.

Prospettive

L’analisi della Corte dei Conti è sintetica e lapidaria: «il sistema tributario italiano è caratterizzato da un livello di prelievo eccessivo e mal distribuito». Dunque, urge una riforma fiscale (in corso) che operi una redistribuzione, oltre che un alleggerimento complessivo. Magari, partendo dalla tassa che più di tutte conta (per le tasche dei contribuenti e per le casse dello stato), l’IRPEF. Nei primi cinque mesi del 2014 «si registrano già due integrazioni del sistema delle detrazioni (la prima nella legge di stabilità 2014, la seconda rappresentata dal “bonus” introdotto dal DL 66/2014). E ulteriori modifiche si profilano nella prospettiva della recente legge delega “per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita».

Si tratta di provvedimenti rilevanti ma il problema resta la struttura della tassa: uno dei più significativi esempi di asimmetria tra paese reale e fiscale. Ci vuole, dunque, un riassetto dell’intera impalcatura dell’imposta, a cominciare da scaglioni e aliquote, oltre a una chiara redistribuzione del prelievo. Fra i limiti dell’IRPEF, anche il peso e l’incontrollata diversificazione delle addizionali regionali e comunali.