Con l’avvicinarsi del referendum del 4 dicembre si accende tra le imprese il dibattito sul voto, non senza registrare forti segnali di astensionismo e indecisione: secondo una ricerca di Confesercenti, il 32% dei piccoli e medi imprenditori non ha ancora deciso se andrà a votare, fra chi andrà alle urne c’è un 42% che non ha ancora scelto fra il sì e il no. Più compatte le grandi aziende, schierate a favore del sì a partire da Confindustria.
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Cosa cambia
Ricordiamo che si vota sulla riforma approvata dal Parlamento e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 15 aprile (“Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione“).
Le misure più rilevanti: fine del bicameralismo perfetto, il Senato mantiene solo alcune funzioni legislative ma sostanzialmente fungerà da «raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea», non voterà più la fiducia al Governo, non sarà più eletto direttamente (senatori scelti fra consiglieri regionali e sindaci) e diminuirà il numero dei parlamentari, con una revisione del federalismo e una serie di poteri che tornano allo Stato centrale.
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Parti sociali
Dal mondo delle imprese arrivano segnali contrastanti.
Il sondaggio di Confesercenti (metà settembre) sottolinea l’interesse per il tema, il 51% degli imprenditori ritiene il referendum uno snodo importante per il futuro del paese, percentuale più alta rispetto a quella della popolazione (44%). Un terzo degli intervistati (32%) non ha ancora deciso se andare a votare. E fra coloro che il 4 dicembre andranno alle urne, il sentiment prevalente resta l’incertezza (42%), determinata soprattutto dalla carenza di informazione e da un dibattito più concentrato sui temi politici che non sui reali effetti delle riforme sull’economia.
Sul fronte della grande impresa, si sottolinea lo schieramento a favore di Confindustria, condiviso dai vertici dell’economia e della finanza: un sondaggio effettuato a inizio settembre fra i partecipanti al Forum Ambrosetti di Cernobbio ha visto una netta prevalenza del sì (75%).
Fra i sindacati, Cgil è apertamente a favore del no mentre non c’è una presa di posizione delle altre due sigle confederali, Cisl e Uil.
Intenzioni di voto
In generale, i sondaggi mostrano come le intenzioni di voto nel corso del tempo si siano modificate: il fronte del sì era più forte a inizio anno e si è via via indebolito, ma il dato più alto riguarda l’astensionismo e la percentuale di indecisi. L’ultimo sondaggio EMG per il Tg La7 (26 settembre) vede il 29,6% dei cittadini a favore del sì, il 35,5% per il no, il 34,9% di indecisi e il 44,1% di astensioni.
Interessante il sentiment del Web: uno studio di EBM research su dati Google Trends degli ultimi tre mesi vede la vittoria del no al 51,9%. C’è anche una distribuzione territoriale: le regioni più a favore sarebbero Abruzzo, Emilia-Romagna, Toscana, Calabria, Lombardia e Liguria, quelle contrarie Marche, Sicilia, Campania, Piemonte, Lazio, Puglia e Veneto.
La partita, stando alla situazione attuale, si gioca quindi sul fronte degli indecisi o astensionisti: la parola alla campagna elettorale.