Proseguire sulla strada dell’alleggerimento fiscale su imprese e lavoro, puntare su nuove relazioni industriali basate sullo scambio “salario/produttività”, investire sull’innovazione, far funzionare meglio le politiche attive per il lavoro, favorire un dialogo internazionale che valorizzi i valori fondanti europei, soprattutto in materia di libera circolazione delle persone, e si lasci alle spalle la stagione, deludente, dell’austerity andando verso politiche per la crescita, in primis dell’industria, perché l’Europa è «il mercato più ricco del mondo con un debito aggregato minore di quello degli Stati Uniti d’America»: sono solo alcuni dei punti toccati da Vincenzo Boccia nel suo discorso di insediamento ai vertici di Confindustria.
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Sul fronte fiscale, Boccia ha definito «ottima la riduzione dell’IRES al 24% a partire dal 2017», riferendosi al programma di governo di inserire questo taglio di tre punti e mezzo dell’imposta sul reddito delle imprese, oggi al 27,5%, nella prossima Legge di Stabilità. Ma ha subito aggiunto che questa misura non basta, chiedendo una politica fiscale maggiormente a sostegno degli investimenti, soprattutto quelli in ricerca e sviluppo, potenziando il relativo credito d’imposta, magari «superando la logica incrementale» che penalizza le imprese che «hanno sempre puntato su questo fattore chiave per la competitività e la crescita e che oggi trainano il Made in Italy».
Altra richiesta: rinnovare il super-ammortamento per l’acquisto di beni strumentali, introdotto dalla Legge di Stabilità fino al 31 dicembre 2016. Si può sottolineare che il Governo ha già espresso disponibilità verso questa misura.
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Ampio il capitolo relativo alle relazioni industriali. Boccia parte da due constatazione di fondo: l’Italia negli ultimi 15 anni ha visto la produttività dell’economia salire dell’1%, contro il +17% dei paesi europei. Il distacco aumenta nel manifatturiero, +17% contro +33-34% in Germania e Spagna, +43% nel Regno Unito, +50% in Francia.
Il costo del lavoro, invece, è aumentato più che in altre economie: sempre nel manifatturiero, è salito del 56% in Italia, rispetto al 58% di Francia e Spagna, il 55% del Regno Unito e il 36% della Germania. In questo contesto, «consideriamo lo scambio “salario/produttività” una questione cruciale e crediamo che la contrattazione aziendale sia la sede dove realizzare questo scambio».
Il contratto nazionale deve definire le tutele fondamentali del lavoro e offrire una soluzione a chi non desidera affrontare il negoziato in azienda, ma bisogna poi proseguire con il decentramento della contrattazione previsto dagli accordi confederali degli anni passati. C’è quindi un preciso richiamo ai sindacati, per una nuova stagione di dialogo che Confindustria propone di basare sull’equazione “salario/produttività“, per arrivare a nuove regole che, chiarisce Boccia, sarebbe opportuno «fossero scritte dalle parti sociali e non dal legislatore».
Infine, anche su questo fronte c’è una proposta di alleggerimento fiscale, che riguarda in particolare il salario di produttività, con una «politica di detassazione e decontribuzione strutturali. Senza tetti di salario e di premio, con lo scopo di incentivare i lavoratori e le imprese più virtuosi».
Boccia ha infine dedicato passaggi a: politiche attive per risolvere lo storico gap fra domanda e offerta; welfare aziendale per modernizzare l’impresa aprendola ai cambiamento sociali; legalità e contrasto all’evasione; nuova politica industriale per settori strategici come Energia e Turismo.