L’ambasciatore cinese in Italia incoraggia le imprese a investire in Cina, dove il mercato e i consumatori sono alla ricerca di prodotti di qualità, forte di uno “zoccolo duro” di circa 100 milioni di abitanti dalle disponibilità medio-alte. In un lungo incontro, l’ambasciatore Li Ruiyu – il diplomatico che Pechino ha inviato a Roma – ha spiegato quali siano le possibilità di investimento per le imprese italiane che “abbiano coraggio e mentalità aperta” e che vogliano intraprendere collaborazioni con società cinesi al fine di portare in Oriente i prodotti di cui il paese con gli occhi a mandorla ha disperato bisogno. Anche perché nel 2015 il PIL cinese è cresciuto del 6,9% rispetto all’anno precedente:
“con buone possibilità di aumentare di un 6,5-7% anche nel 2016”.
La parola d’ordine è addio alla vecchia crescita caotica e disordinata, senza tutele per i lavoratori, con poca attenzione verso l’ambiente e via libera a una nuova fase fatta di schemi all’avanguardia e da una divisione del lavoro più efficiente.
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Dove investire? Nel prossimo quinquennio, sono previste 20 grandi opere strutturali da 80 miliardi di euro per il controllo delle acque che modernizzeranno la Cina, con investimenti dell’ordine di oltre 100 miliardi di euro in ferrovie e 200 miliardi in collegamenti stradali e autostradali, che favoriranno il primo dei 5 obiettivi del piano quinquennale del governo: promuovere un nuovo modello di urbanizzazione e la modernizzazione dell’agricoltura, oggi ferma ancora a modelli arcaici.
“Questo porterà nelle città 100 milioni di nuovi residenti. Per questo servono le tecnologie occidentali, dove l’Italia ha un ruolo importante grazie ai brand del made in Italy, molto apprezzati dai cinesi”.
Spazio quindi per le aziende con forte know-how nella protezione ambientale, delle energie pulite, delle reti elettriche intelligenti, dei prodotti biomedicali, nelle dotazioni per gli anziani, nel trattamento delle acque, nell’energia, nell’industria farmaceutica, nell’aeronautico e – soprattutto – nell’alimentare.
“I cinesi sono stufi di bere caffè e di mangiare pizze americane. Avendo viaggiato e avendo conosciuto l’Italia, vogliono importare pizza, caffè e prodotti alimentari italiani di qualità. Chiedono auto, vestiti, vino, scarpe, borse, cosmetici e mobili italiani, riconosciuti universalmente come di qualità. Ma soprattutto vogliono imprese che li sappiano fare e sappiano insegnare come fare. Abbiamo bisogno di aziende manifatturiere, dove il made in Italy è fra i primi al mondo”.
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Dati alla mano
In base ai calcoli, negli ultimi anni il commercio tra Cina e Unione Europea ha creato 4 milioni di posti di lavoro nel vecchio continente. Tuttavia, complice anche la crisi che ha colpito l’Italia, l’interscambio tra Italia e Cina è passato dai 30 miliardi di euro del 2010 ai 45 miliardi del 2015, contro gli 80 miliardi preventivati 5 anni fa. Ma soprattutto da modificare è il rapporto tra import ed export che era e rimane di 1 a 2, dove la Cina esporta in Italia il doppio di quello che importa. E a favorire un’inversione di tendenza potrebbe dare una mano il governo di Pechino, che nel 2015 ha ridotto della metà le restrizioni agli investimenti stranieri in entrata, puntando a stabilire una rete di libero scambio di alto livello e, cosa inaudita per l’Italia,
“mirando ad ampliare opportunamente il proprio deficit allo scopo di alleviare il carico fiscale per le imprese”.
Importanti i numeri previsti: nei prossimi 5 anni, la Cina importerà dall’Italia merci per un valore di 10mila miliardi di dollari.