Una legge sulla sharing economy farebbe emergere attività pari a 450 milioni di euro di PIL (oggi di fatto oggetto di elusione fiscale) e porterebbero 150 milioni di euro di gettito per l’Erario, stimato in 3 miliardi entro il 2025. Sono i dati dell’Intergruppo sull’Innovazione (che riunisce esponenti di tutte le forze politiche, forniti in accompagnamento della proposta di legge in 12 articoli sull’economia collaborativa (Sharing Economy Act), depositata in Parlamento e sulla quale è stata aperta una consultazione pubblica fino al 31 maggio 2016.
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La proposta di legge definisce i soggetti coinvolti nella sharing economy, individua le autorità di vigilanza, regolamenta mercato, sistemi di pagamento, fiscalità e sanzioni, introduce la differenza fra microattività non professionali a integrazione del reddito ed esercizio dell’attività a livello professionale o imprenditoriale. L’auspicio è che il testo possa rappresentare la base per regolamentare la sharing economy in una logica di «integrazione con il mercato tradizionale e inquadrate in una cornice di norme chiare e trasparenti», consentendo lo sviluppo di un’economia innovativa.
Proposte
I gestori delle piattaforme digitali di Sharing Economy (Airb&B, Uber, Blablacar…) devono dotarsi di un documento di politica aziendale oggetto di approvazione da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Tra i numerosi vincoli, il divieto di fissare tariffe per gli utenti operatori, l’obbligo di transazioni elettroniche, l’informativa agli utenti sulle coperture assicurative necessarie e la verifica del gestore sull’assolvimento dei relativi adepimenti.
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Il reddito che deriva agli utenti operatori dall’attività svolta attraverso il portale di sharing economy viene definito “da attività di economia della condivisione non professionale” e indicato in un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi. Fino a 10mila euro annui, si applica un’imposta forfettaria del 10%. Sopra i 10mila euro, il reddito si cumula con quello da lavoro dipendente o autonomo applicando poi la relativa tassazione.
I gestori dei portali sono sostituti d’imposta degli utenti operatori. Quindi, quelli stranieri devono dotarsi di stabile organizzazione in Italia. Hanno anche l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate le transazioni che avvengono sulla piattaforma.
Sul mercato vigila l’AGCM, che gestisce il Registro Elettronico nazionale delle piattaforme digitali dell’economia della condivisione, valutando con parere vincolante i documenti di politica aziendale dei gestori delle piattaforme.
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