La riforma delle pensioni 2025 in Italia promette di essere uno dei temi più complessi e dibattuti dell’agenda politica, con potenziali cambiamenti significativi per lavoratori e pensionati.
La necessità di ridefinire il sistema previdenziale è guidata da fattori quali l’invecchiamento della popolazione, la sostenibilità delle finanze pubbliche e le richieste di maggiore flessibilità dai sindacati e dai lavoratori.
Le decisioni che saranno prese nei prossimi mesi avranno un impatto profondo su milioni di italiani. Vediamo cosa ci aspetta.
Pensione di vecchiaia: l’incognita dei contributi
Attualmente, il requisito per accedere alla pensione di vecchiaia è fissato a 67 anni di età, con almeno 20 anni di contributi. Questo parametro, introdotto a seguito dell’ultimo adeguamento alle aspettative di vita nel 2019, dovrebbe rimanere invariato fino al 2026. Tuttavia, indiscrezioni di stampa ipotizzano un possibile innalzamento della soglia contributiva da 20 a 25 anni, magari non da subito ma nella riforma del sistema previdenziale su cui sta lavorando il CNEL, la cui bozza è attesa per ottobre.
Se mai confermata, questa modifica avrebbe impatti notevoli, soprattutto per quei lavoratori che contano su una carriera più breve e che si sono già pianificati un ritiro basato sulle regole attuali. Il sistema pensionistico italiano attualmente è regolato dal Decreto legislativo n. 503/1992, integrato dalla Legge Fornero del 2011. Eventuali modifiche a questa struttura richiederebbero un intervento normativo di pari entità.
Non ci sono quindi i margini per una rivoluzione di tal genere in Manovra 2025, ma null vieta al Governo di varare l’attesa riforma vera e propria, nel corso del prossimo anno.
Pensione anticipata: finestre di attesa più lunghe?
La pensione anticipata ordinaria rappresenta un’altra area chiave della riforma. La misura permette di andare in pensione senza requisiti di età, ma con un numero minimo di anni di contributi: 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.
Nel 2024, la finestra di attesa per l’erogazione della pensione è stata estesa a tre mesi dopo il raggiungimento del requisito contributivo. La riforma 2025 potrebbe prevedere un ulteriore allungamento della finestra prima della decorrenza, arrivando a 7 mesi per allinearsi ai tempi già previsti per misure come Quota 103 (con 41 anni di contributi e 62 anni di età).
Questi interventi sono parte della strategia di contenimento della spesa previdenziale, che si prevede continuerà con la nuova riforma. Non a caso, già lo scorso anno il Governo ha programmato un allungamento fino a 9 mesi da qui al 2028 per la pensione anticipata delle pensioni pubbliche, almeno per quanto riguarda le gestioni ex-INPDAP, proprio con il dichiarato intento di scoraggiare le uscite “premature”.
Ricalcolo contributivo: penalizzazione in vista
Una delle modifiche più discusse riguarda l’eventualità di applicare il ricalcolo contributivo anche alle pensioni anticipate.
La transizione al sistema contributivo è stata introdotta dalla Legge Dini del 1995 (Legge n. 335/1995), e successivamente implementata con la Legge Fornero nel 2011, che ha sancito la definitiva eliminazione del sistema retributivo per chi non aveva accumulato almeno 18 anni di contributi entro il 31 dicembre 1995.
Questo sistema, meno vantaggioso rispetto al metodo misto (che combina la parte retributiva e contributiva), potrebbe portare a una riduzione del 30% o più dell’importo pensionistico per quei lavoratori che hanno accumulato contributi prima del 1995, anno di introduzione del sistema contributivo.
Il ricalcolo contributivo è lo strumento principe delle nuove forme di flessibilità in uscita, a partire dall’Opzione Donna per finire con il computo in Gestione Separata. La tendenza del Governo sembra quella di ricorrere a questo strumento per concedere l’uscita anticipata penalizzandola economicamente, così da contenere la spesa pubblica. Non a caso, è la carta che la maggioranza si giocherebbe per varare la famosa “Quota 41 per tutti”.
Quota 41 per tutti: il cavallo di battaglia della Lega
Tra le misure proposte per la riforma delle pensioni 2025, infatti, si continua a discutere anche della Quota 41 per tutti. Questa misura permetterebbe ai lavoratori di andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età. Tuttavia, il costo elevato di questa misura per le casse dello Stato ha spinto il Governo Meloni a considerare alcune limitazioni, come l’obbligo del ricalcolo contributivo e il vincolo per i soli lavoratori precoci (che abbiano iniziato a versare contributi prima dei 19 anni).
Siamo comunque ancora nel campo delle mere ipotesi: il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha evidenziato la necessità di mantenere un equilibrio di bilancio e la Relazione Tecnica della Corte dei Conti sulla spesa previdenziale italiana ha stimato che l’implementazione di Quota 41 potrebbe costare miliardi di euro, rendendo necessarie limitazioni per la sua sostenibilità.
Pensioni 2025: flessibilità ma con penalizzazioni
Al fianco di Quota 41, si discute anche di una nuova pensione flessibile accessibile a partire dai 64 anni. Tuttavia, questa misura comporterebbe tagli progressivi dell’assegno pensionistico (del 3,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni). In parallelo, si valuta l’introduzione di un tetto minimo dell’importo pensionistico pari a 1,5 volte l’assegno sociale (circa 800 euro al mese), un parametro che renderebbe più difficile l’accesso a questa pensione per chi ha carriere discontinue o contributi bassi.
Il CNEL ha proposto in questo senso un sistema di pensioni flessibili che premierebbe chi ritarda l’uscita dal lavoro, ma con penalizzazioni consistenti per chi decide di anticipare la pensione rispetto alla soglia standard.
Come si vede, il dibattito sulla riforma delle pensioni 2025 è comunque ancora in evoluzione, ma i possibili scenari prefigurano un quadro complesso e carico di sfide, sia per il governo sia per i lavoratori.