L’Europa deve diventare più produttiva, la posta in gioco in un’epoca caratterizzata dalla velocità del cambiamento tecnologico e digitale è a sopravvivenza stessa del modello economico europeo. Ha dei punti di forza, rappresentati dagli alti livelli di istruzione, sanità, welfare state, ma non riesce a convogliarli efficacemente nel sistema produttivo.
Per farlo, il report di Mario Draghi sul futuro della competitività europea presentato alla commissione di Bruxelles, indica tre strade. Colmare il gap digitale con i competitor, a partire da USA e Cina. Elaborare un piano per la decarbonizzazione e la competitività. Aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze negli approvvigionamenti.
L’Europa ha iniziato a far crescere il gap con gli Stati uniti in termini di crescita e competitività all’inzio del nuovo millennio. Ma ha compensato con le esportazioni e l’internazionalizzazione, ad esempio in Asia. Con le crisi geopolitiche degli ultimi anni invece la crisi ha fatto un salto in avanti, e ora secondo l’ex presidente della BCE la sfida per il Vecchio Continente «è esistenziale». Vincerla, significa difendere i valori fondanti: prosperità, equità, libertà, pace, democrazia, sostenibilità.
L’incarico UE: raccomandazioni sula competitività
«L’UE esiste per garantire che gli europei possano beneficiare di questi diritti fondamentali. Un’Europa non più in grado di assicurarli, o costretta a barattarli l’uno con l’altro, avrà perso la sua ragione d’essere».
Il rapporto sulla competitività dell’Unione europea è stato realizzato da Draghi su incarico della commissione UE, con l’obiettivo di fornire raccomandazioni per affrontare le sfide economiche internazionali. In una cornice di indirizzi strategici già intrapresi così descritti dalla presidente all’inzio dle seocndo mandato, Ursula von der Leyen: proseguire con la transizione pulita e digitale, investire nelle competenze, essere resilienti.
Draghi va diritto al punto, l’Europa deve recuperare produttività, dopo più di 20 anni in cui, invece, la sta perdendo. E «l’unico modo è che l’Europa cambi radicalmente». Come detto sono tre le aree di intervento.
Colmare il gap digitale
Partiamo dalla tecnologia, che è fondamentalmente il motivo dei ritardi sulla crescita degli ultimi anni. «Non c’è nessuna compagnia europea con capitalizzazione superiore ai 100 miliardi che sia stata fondata partendo da zero negli ultimi 50 anni, mentre tutte e sei le coporation USA sopra il trilione di dollari è stata creata in questo periodo».
Le aziende europee spendono poco in ricerca e innovazione, e in generale non c’è un ambiente anche finanziario adatto allo sviluppo di aziende innovative. Tant’è che sono diversi gli esempi di imprenditori che sono andati oltreoceano per finanziare e sviluppare startup. «Tra il 2008 e il 2021, quasi il 30% degli unicorni fondati in Europa, quindi aziende che hanno superato il miliardo di dollari di valutazione, hanno trasferito la propria sede all’estero, la stragrande maggioranza negli Stati Uniti».
All’alba di una nuova rivoluzione dell‘intelligenza artificiale, l’Europa non può restare indietro e deve dispiegare a pieno il suo potenziale innovativo. «Deve raggiungere gli USA in termini di innovazione, ma può ambire a superarli nel fornire opportunità di istruzione, formazione degli adulti, buoni posti di lavoro».
Decarbonizzazione e competività
Secondo pillar, decarbonizzazione e competitività. Due parole che vanno coniugate insieme per evitare che la strada della sostenibilità, se strategicamente mal impostata, non comprima l’economia invece che stimolarla. Qui c’è da risolvere un rilevante problema relativo al prezzo dell’energia, per le imprese europee doppio o triplo rispetto ai concorrenti USA. Nel medio termine, la strada sono e rinnovabili. Ma al momento i combustibili fossili continuano ad essere centrali, e questa fase va gestita adeguatamente.
Sicurezza e resilienza
La terza area di intervento, sicurezza e riduzione della dipendenza dall’estero. La sicurezza, una precondizione, è ora costantemente minata dai rischi geopolitici. Fra l’altro, c’è un mismatch fra la spesa europea per la difesa, la seconda più alta del mondo, e i risultati che raggiunge.
Sul fronte della resilienza, l’Europa è esposta sul fronte di materie prime critiche per la transizione digitale. Qui la proposta è di una politica economica estera comune, che preveda accordi commerciai e investimenti in paesi ricchi di risorse e crei solide supply chain nei settori strategici.
Un maggior coordinamento europeo
Il problema è che queste priorità devono essere affrontate a livello europeo, non in modo frammentato stato per stato. Un punto debole dell’Europa lungo questo tragitto è la mancanza di un adeguato mercato dei capitali. Bisogna anche non disperdere le risorse interne che esistono. E rafforzare le politiche di coordinamento e un processo decisionale ancora lungo e complesso.