Ci sono diversi moniti alle imprese nelle considerazioni finali rese dal Governatore della Banca d’Italia, le ultime prima della fine del mandato a ottobre per Ignazio Visco: il primo è sul ruolo che possono giocare in chiave anti-inflazione con le proprie politiche di prezzo, il secondo è sull’attenzione al capitale umano, mentre il terzo è sulla necessità di agganciare il treno dell’innovazione.
Le considerazioni di Visco si sono concentrate sugli elementi che caratterizzano l’attuale congiuntura economica, dalla crescita dell’inflazione alla crisi energetica, analizzando le risposte fornite dalle autorità monetarie a riguardo, a partire dal rialzo dei tassi BCE.
Ma soprattutto ha individuato gli strumenti di ripresa che possono portare a quella nuova robusta crescita che rappresenta l’obiettivo economico a cui l’Italia deve tendere: apertura verso l’economia internazionale (anche affrontando il nodo dimensionale delle nostre imprese) e strategie d’impresa e di sistema.
La ridefinizione dell’organizzazione mondiale della produzione ora ci impone di rafforzare il nostro posizionamento internazionale ed evitare di essere spinti, come in anni non lontani, ai margini delle trasformazioni in corso.
Vediamo alcuni passaggi fondamentali sulle imprese e sulla crescita, nel tradizionale discorso del Governatore della Banca d’Italia di accompagnamento alla Relazione annuale.
Politiche di prezzo contro l’inflazione
Il primo monito alle imprese si inserisce nell’ampio capitolo dedicato all’inflazione. C’è stato un violento shock determinato dai rincari energetici alimentato dalla guerra in Ucraina, si è innescata una dinamica inflazionistica, c’è stato un inasprimento della politica monetaria senza precedenti per la velocità dei riposizionamento. Tutto questa rende la sfida odierna particolarmente impegnativa.
Il rincaro dei beni energetici è nei fatti una tassa ineludibile per l’economia dell’area dell’euro.
Meno rincari, più consumi
«Il ritorno dell’inflazione su livelli in linea con l’obiettivo sarà più rapido e meno costoso se tutti (imprese, lavoratori e governi) contribuiranno a questo fine, rafforzando l’efficacia dell’indispensabile ancorché equilibrata normalizzazione monetaria».
E qui, «le strategie di prezzo delle imprese giocheranno un ruolo fondamentale: simmetricamente a quanto avvenuto nella fase di rialzo dei corsi dell’energia del 2022, le recenti riduzioni di costo dovrebbero ora essere trasmesse ai prezzi dei beni e dei servizi».
Traduzione: i prezzi dell’energia e delle materie prime sono scesi e dovrebbero quindi calare di conseguenza anche i costi finali di beni e servizi. Che invece continuano a salire.
Criticità del mercato del lavoro
E siamo al secondo monito, quello sui salari. Qui in realtà, prima che alle imprese, c’è una critica alle politiche sul mercato del lavoro. E’ corretto non ripercorrere la strada che porta alla spirale prezzi-salari. E non vanno in questa direzione i bonus in busta paga previsti dagli ultimi Governi. Quello che occorre per un recupero del potere d’acquisto è una crescita più sostenuta della produttività.
Meno bonus, più stabilità
Eventuali misure di bilancio dovranno rimanere temporanee e mirate; è bene che gli interventi si chiudano tempestivamente quando non più indispensabili, sia perché il ritorno all’obiettivo della stabilità dei prezzi sarebbe più difficile in caso di trasferimenti pubblici eccessivi, sia per non contrastare il necessario passaggio a fonti di energia rinnovabile».
Dal no alla politica dei bonus fiscali sul lavoro (che invece l’esecutivo vorrebbe rendere strutturali, trovando l’accordo delle parti sociali) a considerazioni che riguardano più da vicino la composizione del mercato del lavoro italiano. Esiste una concentrazione troppo elevata di contratti atipici, che generano precarietà. «La quota di giovani che dopo cinque anni ancora si trova in condizioni di impiego a tempo determinato resta prossima al 20 per cento. Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un’occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate».
La soluzione, secondo Visco, sarebbe «l’introduzione di un salario minimo, definito con il necessario equilibrio», strumento esistente nei principali paesi europei. Ma anche su questo punto c’è un monito per le imprese.
«In Italia non mancano giovani con elevate qualità professionali e imprese dinamiche e di successo; ma è ancora troppo bassa la quota di quelle che puntano con decisione sulla valorizzazione del capitale umano e delle capacità manageriali, fondamentali per trarre beneficio dalle nuove tecnologie e accrescere la capacità competitiva dei prodotti e servizi offerti sui mercati nazionali e globali».
Le aziende che hanno intrapreso questo percorso si distinguono dalle altre per quote di mercato crescenti, una maggiore intensità del capitale, una redditività più alta e migliori condizioni lavorative e retributive.
Dopichè, restano i problemi di insufficiente numero di laureati (la quota tra le persone di età compresa tra i 25 e i 34 anni è inferiore al 30 per cento, contro una media europea superiore al 40%), le criticità sul fronte della pubblica amministrazione (il PNRR, fra le altre cose, rappresenta un’occasione per digitalizzarla).
Produttività per lo sviluppo
Il fattore chiave per la crescita in ogni caso è la produttività del lavoro. «Le prospettive di sviluppo dell’economia dipenderanno comunque in larga misura dalla capacità di tornare a ritmi di crescita della produttività del lavoro nettamente superiori a quelli degli ultimi venticinque anni e almeno pari a quelli medi osservati negli altri paesi dell’area dell’euro».
L’Italia è sulla giusta strada, «dal 2015 si sono fatti chiari progressi: nonostante il contributo nullo dell’accumulazione di capitale, il prodotto per ora lavorata nel settore privato è cresciuto a ritmi non lontani dalla media dell’area. Il proseguimento di questa tendenza richiede che le imprese confermino la ripresa recente degli investimenti e sostengano l’innovazione».
Dimensione delle imprese
Altro ostacolo frequente: il fattore dimensionale. «La distribuzione dimensionale delle imprese resta sbilanciata verso quelle piccole e piccolissime, a proprietà e gestione familiare. Il problema è accentuato nelle costruzioni e in alcuni rami dei servizi, come quelli professionali e il comparto alberghiero e dei pubblici esercizi, in cui dalla seconda metà degli anni Novanta si registrano tassi di crescita della produttività decisamente modesti, se non addirittura negativi». Ci sono state «modifiche normative di rilievo, come la riduzione delle barriere all’ingresso e la semplificazione dell’avvio delle attività», di stimolo per la concorrenza e l’efficienza delle imprese.
«Questo conferma che è necessario perseverare nell’agenda delle riforme e superare gli ostacoli e i disincentivi alla crescita dimensionale ancora presenti, spesso impliciti nelle norme amministrative e tributarie. L’evasione fiscale e la diffusione del lavoro sommerso continuano ad alterare i meccanismi concorrenziali a danno delle imprese con maggiori potenzialità».
Politiche economiche europee
Infine, l’Europa. Visco analizza nel dettaglio sia le politiche monetarie della BCE sia quelle economiche dell’Unione europea. Ma soprattutto, propone alcune considerazioni sulla riforma del Patto di Stabilità europeo e in generale sulle politiche economiche comunitarie.
La prima: «l’introduzione di una capacità di bilancio sovranazionale, assente nella proposta di riforma della Commissione, consentirebbe di gestire in modo più efficiente sia shock che colpiscono singoli paesi, sia eventi avversi comuni a tutti, come la pandemia e la crisi energetica».
In secondo luogo, bisogna preservare la stabilità dell’eurozona, intervenendo sul debito pubblico ed evitando oscillazioni degli spread dannose, in primis, per la convergenza economica.
La proposta di Visco: «un titolo di debito pubblico comune, da emettere a fronte della capacità di bilancio europea o determinato dalla condivisione di parte delle passività nazionali», che potrebbe «svolgere il ruolo di safe asset, assegnato ai titoli di Stato nelle altre principali economie, e sostenere gli interventi volti a dare concretezza al disegno di unione dei mercati dei capitali».
Su quest’ultimo fronte, bene le proposte avanzate dalla Commissione in tema di diritto fallimentare, quotazione delle imprese, in particolare di piccola dimensione, mercati finanziari e controparti centrali. «Ma occorre proseguire speditamente, per far sì che il mercato europeo dei capitali possa meglio contribuire all’impegno economico necessario per affrontare con successo la sfida climatica e quella dell’innovazione digitale, in un contesto di rafforzata stabilità finanziaria».