Secondo Confesercenti, l’inflazione in Italia continuerà a crescere fino al 2025, bruciando 10 miliardi di euro nel prossimo triennio, con una potenziale stagnazione dei consumi dovuta all’erosione del potere d’acquisto delle famiglie.
Uno scenario che potrebbe non soltanto frenare i consumi ma anche indebolire l’efficacia della riforma fiscale prevista.
Le stime sull’inflazione
Secondo Confesercenti, il 2023 sarà un annus horribilis, seguito da un biennio ancora difficile.
Ci aspettiamo un tasso di aumento dell’indice dei prezzi del +5,7% nell’anno corrente, del +3,8% nel 2024 e del +2,8% nel 2025.
Solo nel 2026 si dovrebbe stabilizzare al +2%, ossia il valore “obiettivo”, entro il quale si considera al sicuro la stabilità dei prezzi. Un tasso comunque ancora alto, addirittura il quadruplo del tasso medio prepandemico (+0,5%) del quadriennio 2016-2019.
Effetti sull’economia delle famiglie
Tale scenario avrà ripercussioni sul potere d’acquisto delle famiglie italiane, con una riduzione del 16% del reddito disponibile tra il 2022 e il 2025. Nel periodo 2016-2019, l’erosione del potere d’acquisto causata dall’inflazione era stata in media dell’1,5%.
L’alta inflazione sta rallentando il recupero dei livelli di consumo pre-pandemia, che non potrà essere completato prima del 2025. L’obiettivo di tornare ai livelli pre-crisi finanziaria internazionale si allontana sempre più: al termine del 2025, mancheranno ancora 18 miliardi di euro rispetto ai consumi reali del 2007.
A causa dell’alta inflazione, i consumi aumenteranno in termini cumulati del 2,1% nel triennio 2023-2025 (pari ad uno 0,7% annuo).
Implicazioni per la politica economica
Questo contesto richiede un aggiustamento dell’agenda di politica economica, a partire dalla riforma fiscale. Per salvaguardare il potere d’acquisto delle famiglie, secondo Confesercenti è importante prestare attenzione al fenomeno del fiscal drag: l’aumento nominale dei redditi correlato all’inflazione porta all’applicazione di aliquote più elevate e all’incremento del prelievo fiscale.
Il taglio del cuneo fiscale previsto dal governo potrebbe essere in parte eroso dal Fisco stesso. Per evitare gli effetti negativi del fiscal drag, dunque, è necessario rivedere la struttura delle aliquote e garantire che la riforma fiscale in preparazione non perda efficacia a causa dell’instabilità dei prezzi.