Solo un numero esiguo di startup innovative iscritte nel Registro delle imprese presenta una generazione di ricavi e un percorso di crescita nel capitale investito. Non solo: nel 2022 ha registrato un brusco freno l’avvio di nuove startup, in controtendenza con la crescita che aveva caratterizzato gli anni precedenti.
Dietro questa debacle si cela anche una normativa che ormai risale al 2012 e che necessiterebbe di nuovi interventi, finalizzati a rendere il tessuto economico nazionale più attrattivo per le nuove attività economiche.
E’ quanto emerge analizzando gli esiti dell’indagine nazionale a cura della Fondazione Centro Studi Ungdcec (Unione Nazionale dei Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili), condotta in collaborazione con l’Università degli Studi di Parma e l’Università Gabriele D’Annunzio Chieti-Pescara.
L’indagine a campione ha fotografato la composizione degli assetti e le principali risultanze economiche delle startup italiane, riuscendo ad isolare appena il 5% delle startup innovative che presentassero bilanci depositati, ricavi superiori a 50mila euro ed un aumento del capitale sociale dalla costituzione.
Dall’analisi dei relativi indicatori e trend dell’ultimo triennio – in funzione dei settori, della governance e della diversa compagine sociale – si evince la necessità di interventi legislativi volti a concedere nuove agevolazioni alle startup, non solo fiscali. Dalla ricerca, infatti, emerge:
un mancato utilizzo di norme di favore come quella sulla rivalutazione (solo il 6,3% del campione ne ha usufruito) soprattutto degli intangibili, che avrebbe aiutato le imprese dell’innovazione non tanto per effetto dell’impatto fiscale, quanto piuttosto a dare maggiore solidità ai bilanci delle società.