Back to the future: è sempre una questione di futuro

di Anna Fabi

5 Gennaio 2023 16:00

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La capacità di immaginare un futuro possibile e sostenibile è una risorsa preziosa e ri-generativa, oggi sempre più scarsa, che va coltivata e manutenuta.

Di Paolo Marizza

La fine di un anno e l’alba di quello nuovo ripropongono le domande, le previsioni e le aspettative di come sarà il futuro. Tanto più dopo un 2022 che certamente passerà alla storia come uno dei più drammatici dalla fine della Seconda guerra mondiale. La ragione è evidente: lo sconvolgimento prodotto dall’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, la crisi energetica, l’irrompere dell’inflazione, gli impatti dei cambiamenti climatici, l’intensificarsi della violenza delle autocrazie nei confronti dei propri cittadini, la sicurezza sanitaria nella fase post pandemica. Questi eventi epocali mettono anche a nudo le crescenti difficoltà che gli Stati incontrano nell’adottare politiche che attutiscano gli impatti economico sociali e nel fornire sicurezza e opportunità a coloro che sono stati maggiormente colpiti dai cambiamenti.

Si può dire che ci troviamo di fronte ad una drammatizzazione della questione sociale: un numero sempre maggiore di cittadini sente di vivere peggio rispetto al passato, in una società più ingiusta e soprattutto quando si diffonde una sempre più radicata idea che il futuro possa essere ancora peggiore e che le prospettive di migliorare la sorte propria e dei propri figli si riducono sempre più.

A ben guardare pare di assistere ad una triplice crisi di fiducia: quella nell’individuo di usare la propria intelligenza, creatività, impegno per fare in modo che domani sia migliore rispetto a ieri; quella nella società, vale a dire la possibilità di vedere riconosciuti e ricompensati i propri sforzi, attraverso un ascensore sociale funzionante; e quella politica, vale a dire la possibilità di istituzioni politiche che consentano il ricambio delle istanze e dei provvedimenti necessari a risolvere i problemi percepiti di volta in volta come urgenti.

Questa crisi di fiducia, una e trina, ha a che fare con la questione del futuro, delle aspettative di futuro, ovvero della paura della perdita di controllo del proprio futuro. Le società entrano in crisi quando perdono la sensazione di controllare il futuro, e si trovano smarrite di fronte a un futuro che non è più quello di una volta.

A mio parere ciò che aggiunge problematicità alla coesistenza di cambiamenti di tale magnitudo è la marcata divergenza di prospettive e di aspettative delle diverse componenti sociali, economiche e politiche rispetto al futuro che si traduce in una sorta di incapacità collettiva di immaginare e di re-immaginare il futuro.

Nel XX secolo il tema dei futuri immaginati, pur essendo presente nelle teorie sociologiche fondamentali, era stato scarsamente sviluppato. Solo recentemente la rilevanza delle percezioni, delle aspirazioni e delle aspettative sul futuro per l’azione sociale è stata rivalutata.

Molti studiosi oggi sostengono che il futuro gioca ancora un ruolo trascurato nel comprendere la realtà sociale rispetto a fattori modellati e radicati nel passato e nel presente, come le istituzioni, le cornici culturali, le reti e le relazioni di potere. La prospettiva futura è legata alla percezione del tempo, al modo in cui gli individui e organizzazioni proiettano sogni e obiettivi nel futuro, alla misura in cui si collegano ad un futuro immaginato, proiettando i loro pensieri, visioni ed aspirazioni nello spazio-tempo nel prendere decisioni sulla loro realizzazione futura.

“Chi si è” è funzione di “chi si presume che si diventerà”. La propensione ad aspirare a un futuro positivo, in certa misura controllabile, a credere nel progresso, può diventare di per sé una questione importante per la costruzione dell’identità personale e collettiva.

Studi recenti sottolineano come l’incapacità di immaginare il futuro e la prospettiva di un futuro “fuori controllo” siano correlati a un’ampia gamma di problematiche su questioni come la disuguaglianza, le identità sociali, la capacità (agency) degli individui di realizzare il proprio potenziale, di prendere decisioni consapevoli, di comprendere l’innovazione e vivere il cambiamento.

La prospettiva dei futuri immaginati, cioè le percezioni e le rappresentazioni di un futuro che deve ancora venire, può aprire nuove prospettive per la comprensione delle società del presente e per esplorare le molteplici ramificazioni sociali di aspettative e aspirazioni, ma anche di sogni e speranze, dubbi e paure, proiezioni e previsioni. Percepire il futuro implica un elemento di creatività perché i futuri individuali e sociali rimangono aperti al cambiamento.

Il futuro nella sua indeterminatezza diventa ancora più centrale nella nostra modernità, modernità vista come una caratteristica problematica delle società attuali. Nell’ attuale fase di transizione e cambiamento il futuro non appare più condizionato dal passato, ma diventa un regno di pluralità, complessità e alternative infinite. Dobbiamo costantemente prendere decisioni e riflettere sulle loro potenziali conseguenze. Vivere la modernità significa vivere in modo più riflessivo, affrontando un futuro più aperto e problematico. Il futuro diventa sempre più coinvolgente, ma allo stesso tempo opaco. Ci sono poche linee dirette verso di esso, solo una pluralità di ‘scenari futuri’.

Le percezioni del futuro rappresentano un elemento importante del sociale: come fattore di perpetuazione delle disuguaglianze; come elemento che dà forma alle identità di specifiche epoche sociali e come elemento plasmato dalle norme sociali e dalle relazioni di potere; come aspetto cruciale dell’azione sociale e dell’agency; come elemento socialmente costruito e come facilitatore del coordinamento; come motore sia della riproduzione sociale sia dell’innovazione.

Avendo un background economico-aziendalistico, formatosi in una disciplina orientata al futuro e interessata ai risultati prospettici che informano i processi decisionali, la “questione del futuro” mi ha sempre coinvolto, nel pensiero e nell’azione. La prospettiva futura è legata alla percezione del tempo, al modo in cui gli individui e organizzazioni proiettano sogni e obiettivi nel futuro, alla misura in cui si collegano ad un futuro immaginato, proiettando i loro pensieri, visioni ed aspirazioni nello spazio-tempo nel prendere decisioni sulla loro realizzazione futura. Il coordinamento degli attori nella vita economica e sociale richiede, se non una percezione del futuro reciprocamente condivisa, almeno una percezione del futuro reciprocamente allineata. Per coordinarsi, gli attori devono formarsi aspettative solide su come gli altri vedono e intendono plasmare il futuro.

In che modo le percezioni del futuro si allineano? Un ruolo fondamentale è giocato dagli artefatti e dalle pratiche routinizzate, ma anche le norme culturali e le istituzioni, servono ad armonizzare le aspettative e a stabilire una comprensione collettiva di ciò che verrà.

In tale prospettiva si può esplorare il modo in cui le istituzioni economiche (moneta, debito, condizioni e modalità di lavoro, le organizzazioni più in generale) plasmano e orientano le percezioni del futuro. Banalmente, ad esempio, si potrebbe interpretare il periodo contraddistinto da tassi di interesse reali negativi come una fase di esaurimento dei futuri immaginati. Se non c’è futuro a cosa serve il denaro? Qual è il valore del tempo se non riesco a proiettarmi in esso e ad attualizzare il futuro? Si diceva che di fronte all’epocale quantitative easing il “cavallo non beve”.

Le società moderne, in particolare, hanno istituito una tecnica istituzionalizzata esplicitamente dedicata allo scopo di dare un senso al futuro: la previsione. Il punto qui sta nel come vengono prodotte queste previsioni, scenari e prognosi e come vengono consolidate versioni multiple e divergenti del futuro in una previsione credibile. Oggi la pre-visione non è quasi mai il risultato di una previsione individuale, ma il prodotto di processi sociali di narrazione. Il caso dei sub-prime è emblematico: un solo economista aveva previsto la tempesta perfetta rispetto alla narrazione dominante.

Da un altro punto di vista si potrebbe dire che poiché uno dei fattori che causano l’attualizzazione temporale è la sensazione di incertezza del futuro, se gli individui sentono di non poter controllare il proprio futuro o non sono sicuri di poter ottenere una ricompensa in futuro, è più probabile che rinuncino alla gratificazione ritardata e scelgano le ricompense immediate in quanto la rinuncia alla gratificazione immediata è percepita come una perdita. In questo possiamo forse riconoscere il formarsi di sentiment e posizioni divergenti, spesso polarizzate, sull’invio di armi e sul sostegno all’Ucraina.

Non è quindi solo un allineamento delle aspettative da parte delle istituzioni economiche che serve a rendere più fluido il coordinamento economico, ma anche il trovare narrazioni plausibili e culturalmente accettabili riguardo al futuro e alla sua relazione con il presente. L’osservazione che, anche nella sfera presumibilmente razionale e calcolatrice dell’economia, le previsioni si basano sostanzialmente su una ricerca congiunta di narrazioni plausibili implica assumere il futuro come fatto culturale, ossia che la capacità di aspirare diventa un elemento cruciale inscritto nei tratti culturali di ogni società. L’interazione, la stratificazione e l’allineamento di valutazioni divergenti del futuro è il cuore del coordinamento sociale. Il coordinamento dell’azione presente richiede il coordinamento dei futuri immaginati.

A livello microeconomico, ovvero delle dinamiche gestionali delle organizzazioni, il punto della tensione tra passato e futuro può quindi essere messo in relazione con un’importante controversia spesso inquadrata come “struttura vs. agency“. L’ agency è intesa come la capacità di fare le cose che derivano dall’ intenzionalità degli attori organizzativi che hanno l’opzione e il potere di operare scelte diverse. In situazioni concrete, ad esempio nel mezzo di cambiamenti organizzativi o riforme del settore pubblico, le condizioni per l’agency dipendono dalle competenze delle persone interessate e dalla loro autonomia di azione. Il tema riguarda la questione se le decisioni umane siano strutturalmente predeterminate o se sia possibile un’azione umana riflessiva, individuale o collettiva.

L’agency così definita richiede la percezione del futuro anche a livello delle dinamiche gestionali delle organizzazioni. Quando si perora l’empowerment, ossia di abilitare capacità/possibilità di superare attivamente vincoli strutturali e comportamentali, si sottovaluta spesso l’importanza della visione e della capacità degli attori di immaginare il futuro. Solo coloro che creano condizioni di contesto per immaginare futuri alternativi sono in grado di realizzarli. Condizioni che superino la contrapposizione “struttura vs. agenzia”: invece di preferire una delle due alternative, si investe sull’ interconnessione dell’agency con la capacità degli attori di immaginare il futuro.

Riconoscere le aspirazioni, le aspettative e i futuri immaginati appare quindi cruciale per comprendere ciò che motiva, abilita o inibisce l’azione sociale e individuale riflessiva.

In tale ottica la generazione di immaginari di traiettorie future desiderate e processi continui di immaginazione creativa in contrapposizione a quelle razionali, potrebbe consentire di esplorare le deviazioni, anche radicali, dalle pratiche consolidate e generare convergenze su futuri possibili e accettabili in un sistema in continuo cambiamento. In un caso che mi è familiare, nel settore bancario, tale approccio mostrerebbe ad esempio come gli immaginari sociotecnici del pagamento digitale favoriscano una ristrutturazione dei servizi finanziari e dell’esperienza di pagamento, ma anche come si inseriscano nelle trasformazioni economico sociali più ampie, con tutte le conseguenti problematiche relative alla datafication. La crescente digitalizzazione di molte sfere della vita rende necessario estendere queste prospettive a molti ambiti ed esplorare come l’interazione tra tecnologia e orientamenti al futuro possa svilupparsi in modo socialmente utile.

La questione delle tecnologie digitali rende poi ancora più attuale la comprensione di come i futuri immaginati siano intrecciati con le relazioni di potere. Le rappresentazioni del futuro sono intrise di interessi e diventa ancora più cruciale la comprensione di quali visioni del futuro sono incorporate nei modelli istituzionali e sociali sottostanti, chi li controlla e quali gruppi sociali sono coinvolti, in un’epoca in cui le possibilità di vita di molte persone, ad esempio la loro liquidità finanziaria, le opportunità di istruzione, le cure mediche, i diritti sociali, dipendono dal modo in cui i dispositivi digitali valutano e giudicano il loro futuro.

È sempre questione di futuro anche nelle dinamiche di potere e di conflitto. Poiché particolari visioni del futuro possono rafforzare o sfidare le posizioni di potere e l’autorità, i futuri immaginati costituiscono una sfera contestata, soggetta a feroci lotte di potere. La Società viene governata governando il futuro. Chi può controllare il futuro immaginato può difendere o acquisire posizioni di potere nel presente. Ma anche l’ignoranza sul futuro – cioè il “non voler/far sapere” delle conseguenze future – può essere altrettanto strategicamente impiegata per rafforzare le posizioni di potere.

La nostra capacità di immaginare un futuro possibile e sostenibile è una risorsa preziosa: l’esclusione o la percezione di non avere la possibilità di “ritornare” ad un proprio futuro immaginato e condiviso rischia di minare alle fondamenta la tensione verso il futuro come progresso. Una risorsa ri-generativa e scarsa che va coltivata e manutenuta.