Sottostimato per mesi il caro prezzi, anche nelle proiezioni delle banche centrali, in presenza di un recupero della domanda globale più rapido delle attese: ecco perché «l’insorgere delle difficoltà di approvvigionamento ha ovunque sospinto i prezzi dei prodotti intermedi»: Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, in sede di Considerazioni finali 2022, propone un’analisi critica delle politiche macroeconomiche seguite nella fase di uscita dalla pandemia.
Rincari: un boom sottovalutato
Uno dei parametri che maggiormente destano preoccupazione è l’inflazione. I prezzi stanno aumentano su tutti i fronti, con la guerra che ha determinato l’eccezionale rincaro dei prodotti energetici, che però è iniziato fin dell’estate scorsa, in relazione alle tensioni geopolitiche che iniziavano già a profilarsi. Oggi la guerra in Ucraina è il motivo principale dell’attuale salita dei prezzi, ma ha contribuito anche la ripresa delle domanda post-Covid. Ed anche questo era un dato prevedibile. Dunque, Visco pone l’accento sul ritardo evidente nelle strategie di contenimento.
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L’impatto della guerra sui prezzi
La Relazione annuale della Banca d’Italia fornisce dati e analisi sull’aumento dei prezzi. «In marzo l’inflazione ha toccato il 6,8%, il massimo dall’inizio degli anni Novanta; è scesa di mezzo punto percentuale in aprile grazie ai recenti provvedimenti su carburanti, energia elettrica e gas». Il lato positivo è che «non si sono finora registrati segnali di trasmissione delle pressioni dai prezzi alle retribuzioni anche per le caratteristiche del modello di contrattazione italiano, disegnato in modo da limitare le ricadute di incrementi dell’inflazione dovuti a shock di natura energetica».
Tradotto: non c’è più la scala mobile, eliminata proprio negli anni ’90, che faceva automaticamente salire le retribuzioni in base all’inflazione. Ma resta il fatto che «l’aumento dei prezzi delle materie prime importate è una tassa ineludibile per il Paese». L’azione pubblica, rileva Visco, «può redistribuirne gli effetti tra famiglie, fattori di produzione, generazioni presenti e future; non può annullarne l’impatto d’insieme».
Su questo fronte, il Governo è intervenuto con l’una tantum da 200 euro. Sembra esserci una critica da parte di Visco: «gli interventi calibrati in funzione della condizione economica complessiva (delle famiglie, ndr) anziché dei redditi individuali risultano più efficaci nel contrastare le ripercussioni dell’inflazione sulla disuguaglianza». Il bonus 200 euro è rapportato al reddito e non all’ISEE. Ma si tratta di un intervento una tantum e non c’è nella relazione un riferimento diretto a questa misura.
Come si è mossa l’inflazione nel 2021
L’anno scorso c’è stato un «marcato rincaro dei prezzi energetici», si legge nella Relazione di Bankitalia, con un +14,3 per cento. Al netto delle componenti più volatili, l’incremento dell’inflazione è stato dell’1,9%, tutto sommato accettabile. Un’altra impennata si è registrata sui beni industriali, +13%, e anche questo è un andamento determinato dai costi dell’energia. Ma non solo: «anche al netto delle componenti alimentari ed energetiche, l’inflazione alla produzione è tornata positiva (5,8 per cento), principalmente per l’accelerazione dei prezzi dei beni intermedi». Motivi: i rialzi delle quotazioni delle materie prime non energetiche e le difficoltà di approvvigionamento connesse con le limitazioni nei trasporti indotte dalle misure di contenimento della pandemia.
Le prospettive 2022
Alla dinamica sopra rappresentata, che riguarda il 2021, dall’inizio di quest’anno si sono uniti gli impatti della guerra in Ucraina. «Nei primi mesi del 2022, i prezzi delle materie prime, in ulteriore accelerazione anche in seguito all’invasione dell’Ucraina, hanno continuato a spingere al rialzo l’inflazione». E questo impatta sull’intera catena del valore, fino ai prezzi al consumo e agli alimentari.
In aprile, l’inflazione è diminuita al 6,3% (dal 6,8% di marzo) ma solo per effetto del taglio delle accise sui carburanti, della riduzione delle tariffe elettriche e del gas sul mercato regolamentato (la prima dopo quasi un anno e mezzo di rincari) e dell’inclusione del bonus sociale per elettricità e gas per le famiglie economicamente svantaggiate.
La previsione è che l’inflazione resti su livelli elevati anche nei prossimi mesi, «pur in presenza di una graduale attenuazione della dinamica della componente energetica». Ci sono diversi rischi sistemici che potrebbero provocare ulteriori rialzi dei prezzi: ripercussioni del conflitto in Ucraina sui mercati delle materie prime e sulle difficoltà di approvvigionamento dovute alla deviazione di molte rotte commerciali, lockdown imposti in Cina in risposta all’aumento dei contagi.
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L’impatto sulle imprese
C’è un approfondimenti nella Relazione 2022 di Bankitalia dedicato all’impatto del caro energia e dell’inflazione sulle imprese. Secondo l’Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita, condotta trimestralmente dalla Banca d’Italia su imprese italiane con almeno 50 addetti dell’industria in senso stretto e dei servizi privati non finanziari, nel 2021 i rincari dei beni energetici e di altre materie prime e le protratte tensioni nelle catene di approvvigionamento hanno prodotto effetti negativi rilevanti.
La percentuale di imprese che si attendono effetti molto negativi sulla propria attività, associati ai rincari energetici, è aumentata dal 3 al 36%. Già nel quarto trimestre del 2021, circa due terzi delle aziende segnalavano un aumento dei costi energetici. La quota è salita a oltre l’80% nella rilevazione successiva, condotta dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Per contro, la quota di imprese che dichiaravano di incontrare difficoltà negli approvvigionamenti di materie prime e input intermedi è rimasta pressoché stabile, intorno al 50%.
Concludiamo con una considerazione meno pessimistica: al momento, questi aumenti sono stati trasferiti solo in parte sui prezzi di vendita. Non solo: pur essendo le aspettative delle imprese negative, sul fronte dei costi legati al caro energia (il sentiment è che sia i rincari energetici sia le difficoltà di approvvigionamento incideranno sui costi anche nei successivi dodici mesi), l’effetto sui listini dovrebbe rimanere parziale, anche se più marcato di quello finora osservato.