Un discorso ampio e come prevedibile concentrato sull’emergenza ucraina, senza lesinare riposte concrete da parte dell’Europa e delle economie mondiali, ma la cifra delle Considerazioni finali di Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, presentate in occasione della pubblicazione della Relazione annuale sul 2021, è forse rappresentata dal contesto al quale ha costantemente riferito gli eventi, drammatici, in atto. Analizziamo i punti salienti del suo discorso.
Considerazioni del Governatore di Bankitalia
Da mesi tutti analizziamo i motivi che hanno portato a una guerra che «segna una drammatica cesura nella storia recente», e fa «riemergere tensioni tra le diverse aree del mondo che negli ultimi trent’anni sembravano essere state, se non del tutto superate, durevolmente ridotte». Visco analizza tutti gli elementi che compongono l’impatto economico della guerra ma offre una prospettiva di analisi: «una riflessione sugli equilibri internazionali e sul governo della globalizzazione».
Identifica quindi nuove sfide ben precise, all’interno delle quali declina diversi aspetti: il futuro dell’Europa, le stime di crescita basate su digitalizzazione ed economia green, il mercato del lavoro. E non mancano passaggi dedicati alle PMI, che hanno tutte le caratteristiche per competere sul mercato internazionale ma devono crescere dimensionalmente. Aiutate, anche, da un sistema finanziario a sua volta al centro di cambiamenti epocali.
Il contesto internazionale
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è il punto di partenza di tutte le considerazioni proposte: crisi umanitaria, peggioramento delle prospettive economiche, nuove sfide globali. Il punto è il seguente: il governo della globalizzazione. Da anni ci si interroga sul tema, sia in considerazione degli shock economici che si sono succeduti, sia per le «conseguenze distributive di questo processo nei diversi paesi, nonché dai progressivi mutamenti nel peso relativo – demografico, economico e politico – delle nazioni avanzate e di quelle emergenti». Ora, la guerra in Ucraina rischia di «riportarci verso un mondo diviso in blocchi, con minori movimenti non solo di beni, servizi e capitali finanziari, ma anche di tecnologie, idee e persone».
Dopo la fine della Guerra fredda, «l’apertura degli scambi e il progresso tecnologico hanno prodotto profondi mutamenti». Il PIL mondiale «è oggi due volte e mezzo il livello del 1990, quello pro capite è aumentato del 75%, il commercio internazionale è più che quadruplicato». Sono cambiate le catene del valore, diventati globali, e anche l’industria finanziaria. Ora, la pandemia prima e la guerra in Ucraina dopo, «potrebbero spingere verso una riorganizzazione del commercio internazionale che privilegi la tenuta dell’offerta, soprattutto nei settori strategici».
E qui che Visco teme la concentrazione degli scambi «all’interno di aree costituite da paesi politicamente affini o uniti da accordi economici regionali». In parole semplici, una nuova divisione del mondo in blocchi. Che, secondo Visco, avrebbe conseguenze negative sull’economia globale, e in particolare sui paesi più deboli.
La ricetta: «una correzione di rotta che miri a coniugare i benefici della globalizzazione con politiche atte a contenerne le conseguenze negative», fondata «su una discussione aperta delle regole e del governo dell’economia globale» che porti a «un nuovo equilibrio internazionale tenendo conto dell’accresciuta importanza dei paesi emergenti e della necessità di garantire il rispetto sostanziale dei principi e dei valori fondanti della convivenza pacifica tra le nazioni». In questa cornice, come detto, si inseriscono poi le considerazioni sulle sfide più immediate. Ne analizziamo tre, che interessano da vicino il mondo delle imprese in generale, e delle PMI in particolare.
Le sfide per le PMI
La priorità è la crescita dimensionale. In Italia, sottolinea Visco, «le eccellenze imprenditoriali non mancano», ma il panorama è troppo frammentato. «La produttività delle imprese italiane di dimensioni medio-grandi e la loro capacità di raggiungere i mercati internazionali sono comparabili con quelle delle imprese di analoga dimensione di Francia e Germania». Ma il peso di queste PMI su occupazione e valore aggiunto resta insufficiente. «Le aziende con oltre 250 addetti, che hanno in media migliori risorse manageriali e organizzative e una maggiore capacità di sostenere i costi dell’innovazione e di adattarsi alla transizione verde, impiegano meno di un quarto degli occupati, circa la metà che in Francia e in Germania».
In diversi punti del discorso viene sottolineata l’importanza del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, per stimolare la crescita delle imprese. «E’ cruciale che la struttura della nostra economia si apra al cambiamento, avvalendosi dei programmi e delle riforme previsti dal PNRR, per innalzare la propensione delle imprese a crescere e a investire nell’innovazione e nella valorizzazione del capitale umano».
In questo senso, anche la finanza può svolgere un ruolo fondamentale. «Tra il 2015 e il 2021 è più che triplicato (da 9 a 30 miliardi) il patrimonio gestito da fondi specializzati nell’acquisto di titoli emessi da piccole e medie imprese, tipicamente poco liquidi, e nel finanziamento di società che necessitano di essere ristrutturate». Questo aumento è stato favorito anche da incentivi fiscali e normativi, ma le risorse gestite rimangono tuttavia contenute rispetto alla media dell’area dell’euro, dove raggiungono il 6 per cento del PIL», il triplo rispetto all’Italia.
Una proposta per l’Europa
Vengono analizzati gli strumenti che l’Europa ha messo in campo per contrastare le nuove emergenze economiche, come il Next Generation Ue contro la pandemia e il programma RepowerEU per la transizione green dell’energia. Ma il punto è che bisogna «completare l’assetto istituzionale dell’Unione economica e monetaria, dotandola di un bilancio comune di dimensioni adeguate». Si tratta di un processo lungo, e che richiede modifiche ai Trattati.
Ma, e qui sta la proposta, si potrebbe pensare a uno step intermedio. «Una soluzione percorribile a Trattati invariati, meno ambiziosa, potrebbe essere la predisposizione di uno strumento pronto per essere utilizzato in caso di necessità, evitando di dover creare di volta in volta programmi ad hoc, come è avvenuto dopo la crisi dei debiti sovrani e durante la pandemia». Questo «rafforzerebbe la fiducia nella capacità europea di intervenire tempestivamente quando necessario», consentirebbe di «finanziare progetti comuni di carattere eccezionale o concorrere alla stabilizzazione macroeconomica dell’area in risposta a shock di particolare entità». Come? «Sull’esempio del programma NGEU, si reperirebbero risorse attraverso l’emissione di debito dell’Unione per trasferirle ai paesi membri affinché le impieghino con criteri e per scopi concordati a livello europeo; il servizio di questo debito sarebbe assicurato da adeguate entrate proprie».
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Dovrebbe nel frattempo cambiare il Patto di Stabilità e crescita, continuando a garantire la sostenibilità dei conti pubblici, ma all’interno di regole più flessibili e semplici, magari basate su programmi di medio termine da concordare con Bruxelles.