La presentazione del DEF (Documento di economia e finanza) è attesa in Consiglio dei Ministri questa settimana: le stime di crescita saranno significativamente riviste al ribasso, almeno di due punti percentuali, mentre nuovi interventi di sostegno all’economia (in preparazione) impatteranno sul deficit, con l’esigenza di restare all’interno di parametri che assicurino la stabilità dei conti pubblici.
Vediamo dunque quali elementi del DEF incamerano l’impatto della guerra in Ucraina.
DEF: impatto guerra e inflazione
Il DEF va presentato entro il 10 aprile ma il Governo sarà pronto prima. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, anticipa le stime di crescita. Prima degli ultimi eventi si preannunciava una ripresa a ritmo sostenuto, la Commissione Ue prevedeva per l’Italia un tasso del 4%, mentre la guerra ha portato «a un deterioramento di queste prospettive.
Dobbiamo essere consapevoli che la nostra economia sta rallentando.
Si tratta poi di certificare anche l’aumento dell’inflazione, conferma Franco: in questo momento è attorno al 6,7% per l’Italia, ad un livello non visto da anni.
PIL: le valutazioni d’impresa
Nel report “L’economia italiana alla prova del conflitto in Ucraina“, Confindustria ipotizza tre diversi scenari, prevedendo in quello più ottimistico una crescita del PIL 2022 ridotta all’1,9%, addirittura all’1,6% nel 2023. Quindi, come sottolinea il presidente Carlo Bonomi, «inferiore al solo effetto di trascinamento sul 2022 del forte rimbalzo dell’anno precedente, con una recessione tecnica nei primi 2 trimestri dell’anno non compensata dal ritorno alla crescita nella seconda metà del 2022. Nel secondo scenario la crescita scenderebbe ulteriormente all’1,6% nel 2022 e all’1% nel 2023. Nello scenario più severo, nel 2023 saremmo in recessione conclamata».
Caro prezzi e rischio stagflazione
Unimpresa quantifica il calo incamerando una riduzione limitata al 3%, che costerebbe 41 miliardi di euro di PIL. Nel dettaglio, la crescita del 4,7% stimata nella NaDEF (Nota di aggiornamento al DEF) significava un prodotto interno lordo pari a 1.892,5 miliardi di euro. La crescita al 3% comporta invece un PIL 2022 di 1.851 miliardi, circa 41 miliardi in meno.
Sul fronte dell’inflazione, «col prezzo del petrolio a 150 dollari al barile, l’inflazione a giugno arriverebbe all’8,4% per poi ripiegare, solo in caso di miglioramenti, al 6,8% a settembre. Se, invece, le quotazioni del greggio si fermassero in media, nei prossimi mesi, attorno a quota 120 dollari al barile, l’inflazione si attesterebbe a 7,5% a giugno, per poi flettere al 6,4% a settembre. L’ultimo trimestre dell’anno potrebbe portare, in entrambi i casi, a un ulteriore ribasso dell’inflazione che a fine anno potrebbe attestarsi, rispettivamente al 4,8% col brent a 150 dollari e al 4,2% col brent a 120 dollari». Il rischio è quello di una stagflazione nel 2023, ovvero di una stagnazione, assenza di crescita, «accompagnata dall’inflazione, un aumento continuo dei prezzi che aggraverebbe la stessa congiuntura economica sfavorevole».
Investimenti e produzione
Confindustria misura anche l’impatto sulla produzione industriale: anche nel migliore dei casi, passerebbe «dal +11,7% del 2021 al +1,5%, se e solo se nella seconda metà del 2022 le cose miglioreranno. Gli investimenti fissi lordi, dopo l’incoraggiante +17% del 2021, quest’anno aumenterebbero solo del +4,5%. Colpendo la propensione a investire delle imprese proprio in questo 2022, che è fondamentale per la realizzazione del PNRR».
Cida (Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità) insiste sull’importanza delle strategie economiche che il Governo intende adottare. «Insistiamo a fare del DEF il primo banco di prova di una reazione ragionata alla crisi», sottolinea Mario Mantovani, presidente dell’associazione, proseguendo: «serve sostenere l’industria, andare avanti nella modernizzazione della pubblica amministrazione, intervenire sulle pensioni con la giusta flessibilità in uscita. Una “messa a punto” del Documento di economia e finanza che non può essere effettuata solo fra i dicasteri economici, ma dovrebbe vedere convergere il contributo dei protagonisti della vita economia del Paese».
Aiuti alle imprese e impatto sul deficit
In vista ci sono nuovi provvedimenti a sostegno dell’economia, dopo i primi due decreti Ucraina, che devono proseguire sul contrasto al caro prezzi di energia, benzina e materie prime. Secondo anticipazioni di stampa, si tratta di misure da 25-26 miliardi di euro, che solo in parte verrebbero finanziate a deficit. L’Esecutivo può utilizzare il tesoretto generato dalla crescita record del 2021 (+6,6%), per cui si ipotizza che l’impatto sul deficit sarebbe, a fronte dei sopra citati stanziamenti, limitato a 8-10 miliardi. L’obiettivo è di non invertire la tendenza al ribasso del debito. In altri termini, il deficit aggiuntivo non deve pesare eccessivamente sul debito, consentendo comunque una riduzione rispetto al 153,5% della NaDEF 2021, che dovrebbe poi proseguire, diventando più marcata, nel 2023.