Con la costruzione europea, pur con i suoi molti limiti, la UE proiettava una visione: quella di lasciarsi alle spalle e di superare le tragedie della storia, allontanando definitivamente la guerra dal proprio destino. L’integrazione europea aveva come prezioso sottoprodotto la risoluzione dei conflitti con la legge, non con le armi. Quella visione aveva già mostrato la sua fragilità nel tragico teatro balcanico, ma si pensava che negli scacchieri globali la guerra sarebbe rimasta confinata in teatri lontani, dalla Cecenia alla Siria.
Vittima di una sorta di “illuminismo economico” si riteneva che la globalizzazione economica estesa in tutto il mondo, attraverso la pervasività della tecnologia e della globalizzazione del commercio, generasse interdipendenze economico finanziarie che rendevano il ricorso alla guerra un costo insostenibile per tutti.
In larga parte delle opinioni pubbliche europee, da un altro punto di vista non meno illusorio, settanta anni di pace avevano rinforzato l’ambizione che la “fortezza Europa”, potesse isolare, proteggere e immunizzare da turbolenze e discontinuità non solo geopolitiche e quindi di poter perseguire lo sviluppo economico, peraltro incurante degli impatti ambientali e delle sue conseguenze, facendo leva su una sorta di “neutralità” geopolitica sotto l’ombrello della NATO e della potenza americana.
Questo “illuminismo economico”, questa “razionalità economica” dei paesi guida della UE era parte della narrazione dominante, suffragata dai successi sociali e competitivi delle loro economie negli ultimi 20-30 anni. Così la guerra tra la Russia e la vicina Ucraina appariva come una inverosimile illusione ottica. La guerra alle porte dell’Unione Europea non era nel campo delle possibilità in quanto frutto di un processo di rimozione collettiva che ha riguardato tutti noi.
Lo dicevano anche i numeri. La Russia è il più grande esportatore mondiale di petrolio e grano. L’UE è il suo principale partner commerciale. L’Europa importa il 40% del suo gas naturale e il 25% del suo petrolio dalla Russia, che rappresentano una buona parte delle entrate dello Stato russo. L’aggressione russa contro l’Ucraina, non solo ci stupisce per la sua oscena brutalità, ma sfida uno dei dogmi dell’economia di mercato, secondo cui gli interessi economici condivisi tra le nazioni possono prevenire le guerre.
La “motivazione economica”, ovvero credere che gli uomini sacrifichino i loro istinti bellici ai loro interessi è una credenza del 20° secolo? È credibile anche nel 21° secolo e in particolare per il caso ucraino, in cui l’autocrate non si preoccupa di rovinare economicamente il suo paese, di distruggere le città di quella che egli stesso reputa una nazione sorella? Nessun motivo di sicurezza spiega la “sua” guerra e nessuna considerazione economica è arrivata a inibire la sua decisione di invadere l’Ucraina. Risultano prevalere le pulsioni a ricreare l’impero russo, ammantate da ideologismi di riunificazione della nazione russa.
Per coloro che speravano, come chi scrive, di poter sfuggire al ritorno delle passioni nazionaliste, populiste, religiose e altre e di proteggersi da esse, la morale da trarsi da questa storia è più di una.
Una ci sembra la seguente: l’Europa dovrà familiarizzare con una prospettiva che pensava di poter dimenticare, ovvero l’instabilità guerreggiante e minacciante nel suo vicino estero. Quattro dei membri dell’UE confinano con l’Ucraina: Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania. Questi paesi sono quasi in prima linea. I rifugiati ucraini sono già milioni, come i rifugiati siriani in Turchia, Libano e Giordania.
In questo momento della storia contemporanea l’UE deve imparare a parlare con un nuovo linguaggio, non solo quello delle relazioni economiche ma quello delle relazioni di potere. C’è voluta l’aggressione all’Ucraina perché il concetto di “sovranità strategica“, venisse in primo piano assieme a quello di “difesa europea”. L’UE sta mostrando, anche se con modalità non strutturate, la ripresa di una presenza strategica. Le sanzioni anche se probabilmente non fermeranno la guerra e forse non indeboliranno il potere di Vladimir Putin si dispiegano nel segno del passaggio dall’aiuto umanitario all’assistenza militare. Misure che eroderanno i mezzi a disposizione del Cremlino per mantenere suo il bellicoso revanscismo.
Nel momento in cui scriviamo, nell’ assenza di una soluzione negoziata, la Russia finirà forse per occupare o annettere l’Ucraina o sue parti con repressioni di tipo stalinista. La resistenza ucraina combatterà e avrà punti di appoggio dall’UE, auspicabilmente con il suo ingresso nell’ UE.
Una seconda morale che provvisoriamente si può trarre è però quella più importante: il punto di appoggio più solido ed esistenziale per l’Ucraina e per noi europei è la realizzazione di un nuovo ordine di pari. In un sistema di stati liberi, tutti cooperano per la tenuta del sistema quando è minacciato, perché lavorano per la loro stessa libertà. C’è una cosa che gli autocrati non capiranno mai: le democrazie liberali funzionano perché la libertà crea dipendenza.
Articolo di Paolo Marizza