Dal 2035 non saranno più prodotte nuove automobili con motori a combustione interna (benzina, diesel e metano) e dal 2040 il divieto è esteso anche a nuovi furgoni e veicoli commerciali leggeri: lo ha stabilito il Comitato interministeriale per la Transizione ecologica (Cite).
Il phase out in Italia
La tabella di marcia (phase out) italiana per la dismissione dalla catena produttiva dei veicoli a combustione interna si pone in linea con i target europei di decarbonizzazione dei trasporti e di promozione della mobilità elettrica e a idrogeno, riconoscendo un ruolo chiave ai biocarburanti nella filiera nazionale di produzione.
Per i costruttori di nicchia (ad esempio Lamborghini e Ferrari assieme alle altre case automobilistiche della Motorvalley italiana, riconosciute a livello mondiale come eccellenze del Made in Italy), potranno essere eventualmente valutate misure specifiche nel più vasto quadro delle regole comunitarie.
Il tutto, lo si apprende da un comunicato stampa pubblicato sul sito del Ministero della Transizione Ecologica, che non specifica molto altro.
Le reazioni di mercato
L’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (Anfia) ha chiesto al governo una roadmap per la transizione produttiva e della mobilità sostenibile che possa fugare dubbi e fornire dettagli sulla strategia che sarà adottata, a tutela del coomparto. I timori del settore Automotive, già messo a dura prova dalla pandemia e dalla crisi dei chip, sono quelli di una ulteriore batosta di mercato legato all’addio alle vetture a benzina e diesel: imprese della filiera e imprenditori del settore chiedono un chiarimento, ma soprattutto delle certezze.
Critico anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, secondo cui non bastano poche righe di comunicato stampa senza dettagliarne la strategia e soprattutto indicare le risorse previste e dare conto degli impatti stimati. Uno studio PwC commissionato da Clepa, Associazione europea della componentistica, ha peraltro quantificato gli effetti occupazionali ed economici della possibile messa al bando dei motori a combustione interna dal 2035: in Italia sono a rischio circa 70mila posti di lavoro. Il rischio, paventato dallo stesso Bonomi, è che si ottenga una spinta alla delocalizzazione produttiva in paesi esteri.
Stellantis, che produce quattordici marchi automobilistici (Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Citroën, Dodge, DS Automobiles, FIAT, Jeep, Lancia, Maserati, Opel, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall) si mostra invece più ottimista: il presidente John Elkann ha già anticipato la strategia della multinazionale, in linea con il nuovo scenario: nel giro di 10 anni il 70% delle auto Stellantis vendute in Europa saranno ibride plug-in o elettriche pure.
Lato consumatori, ci sono dunque da tenere a mente queste nuove scadenze anche per quanto riguarda la definizione e gestione delle flotte aziendali nel medio e lungo periodo, mentre lato produttori le conseguenze sono profonde per il comparto dei veicoli commerciali, anche se da qui al 2040 i tempi sono più lunghi.
La posizione di Governo
Il Viceministro allo Sviluppo Economico, Gilberto Pichetto, si pone in una posizione di compromesso fra le parti: «l’annuncio del Cite è un passaggio necessario al fine di garantire una Unione europea a impatto climatico zero», ma serve anche tenere conto delle esigenze del Paese e delle istanze della filiera produttiva. Da qui, la richiesta di rendere strutturali incentivi ed ecobonus auto green, per favorire la transizione sostenendo al contempo le vendite.
Di simile avviso il Ministro Giancarlo Giorgetti che, a difesa dell’industria italiana, propende per un approccio non rigido nel cammino verso la mobilità sostenibile e tecnologicamente neutrale, evitando “ricadute sociali disastrose”.