Aumenta il patrimonio degli istituzionali italiani – fondi pensione, casse di previdenza, fondazioni – pur nel contesto di crisi determinato dalla pandemia Covid, e i rendimenti restano superiori a quelli del TFR, con i maggiori investitori nell’economia reale che restano le Fondazioni bancarie seguite dalle casse previdenziali, mentre resta basso l’apporto dei fondi negoziali: sono alcune delle evidenze dell’ottavo Rapporto sugli investitori istituzionali italiani del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.
Il patrimonio degli investitori istituzionali italiani (fondi pensione negoziali, preesistenti e forme di assistenza sanitaria integrativa, Casse Privatizzate e Fondazioni di origine Bancaria) è aumentato dell’88,9% dal 2007, passando da 142,85 miliardi di euro del 2007 ai 269,84 miliardi di euro del 2020. In percentuale del PIL, il patrimonio di questi soggetti è quindi pari al 16,3% e, includendo anche il welfare privato (Compagnie di Assicurazione del settore vita, rami I, IV e VI, fondi aperti e PIP), tale rapporto aumenta al 57,8%.
I rendimenti, in un anno di pandemia, sono inferiori a quelli dell’anno precedente, il 2019, ma comunque positivi. Le Fondazioni di origine bancaria segnano un +3,6% (6,5% nello scorso anno), seguite dai fondi pensione negoziali con un +3,1% (7,2% nel 2019), dai fondi aperti con +2,9%, dai fondi preesistenti con il 2,6% e dalle gestioni separate con +1,4%. In negativo le unit linked, -0,2%. I rendimenti obiettivo, ovvero TFR, inflazione e media quinquennale del PIL, si sono attestati rispettivamente all’1,2%, -0,2% e 2%.
«L’allocazione degli attivi investiti ha consentito di superare positivamente un anno che ha complicato le gestioni finanziarie di tutti gli operatori di mercato anche grazie alla diversificazione – rileva Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali -, attuata sempre più mediante una gestione diretta in private market e con fondi d’investimento a gestione attiva». Gli investimenti: pur rimanendo in alcuni casi preponderante, diminuisce l’investimento in titoli di Stato e, in linea generale, nel reddito fisso, aumenta l’affidamento delle risorse a gestori sempre più specializzati e con strategie innovative e diversificate, si consolida il ricorso a piattaforme d’investimento dedicate a singoli investitori o condivise tra più soggetti istituzionali e si costituiscono SICAV multicomparto, e crescono gli investimenti in economia reale, anche domestica.
Qui, c’è il punto debole rappresentato dai fondi negoziali. La destinazione all’economia reale è al 44% fra le Fondazioni di origine bancaria, scende al 22% per le casse dei professionisti, mentre si fermano al 2,58% e al 3,98% del patrimonio i fondi pensione negoziali e preesistenti. «A impressionare non positivamente – commenta Brambilla – è sicuramente l’esiguità degli investimenti dei fondi di natura contrattuale, in gran parte alimentati dal TFR “circolante interno” alle aziende e che, quindi, è e dovrebbe essere la prima e principale forma di sostegno all’economia reale». Si segnalano comunque diversi percorsi d’investimento intrapresi aggregando i patrimoni di più fondi. «Dal 2007 alla fine del 2020 ai fondi pensione e al fondo gestito dall’INPS sono confluiti circa 155,45 miliardi di TFR sottratti alle imprese italiane – prosegue Brambilla -, alle quali ne sono tornati mediamente il 3,5% l’anno, che possiamo stimare in circa 36 miliardi di euro. Dati su cui riflettere, anche per le loro ripercussioni sia sull’occupazione sia sulla produttività e, quindi, sullo sviluppo del nostro Paese». Eccoli con precisione: