Green pass anche per andare al lavoro e chi non lo esibisce può essere adibito a mansioni diverse, o addirittura sospeso dalla retribuzione; è l’ipotesi avanzata da Confindustria, che chiede di aggiornare in tal senso il protocollo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro siglato dalle parti sociali nelle scorse settimane al tavolo con il Governo.
La proposta dell’associazione imprenditoriale è contenuta in una mail interna del direttore generale, Francesca Mariotti, ai direttori del sistema industriale, motivata dal problema che «numerose imprese associate hanno segnalato la presenza di percentuali consistenti di lavoratori che scelgono liberamente di non sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid19, esponendo di fatto a un maggior rischio di contrarre il virus se stessi e la pluralità di soggetti con cui, direttamente o indirettamente, entrano in contatto condividendo in maniera continuativa gli ambienti di lavoro».
Green Pass sul lavoro: la proposta
«L’esibizione di un certificato verde valido dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede su cui poggia il rapporto di lavoro» si legge. Di conseguenza, si propone che il datore di lavoro, ove possibile, a fronte di un’opposizione al vaccino, possa «attribuire al lavoratore mansioni diverse da quelle normalmente esercitate, erogando la relativa retribuzione».
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La mancata vaccinazione sarebbe dunque considerata un motivo valido per un cambio di mansioni con conseguente retribuzione, ossia con il lavoratore adibito a compiti che comportano uno stipendio più basso. «Qualora ciò non fosse possibile, il datore dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dell’azienda». Quindi, e questo è il secondo elemento rilevante, nel caso in cui non sia possibile prevedere diverse mansioni, è possibile sospendere il lavoratore, che di conseguenza non percepirebbe più la retribuzione.
Le critiche dei sindacati
Immediato il no dei sindacati. «Non va mai dimenticato che i lavoratori sono cittadini e hanno i diritti e i doveri di tutti i cittadini» sottolinea il segretario della Cgil, Maurizio Landini, il quale comunque sottolinea: «siamo di fronte a una forzatura». Intervistato da La Stampa, dichiara: «in questo anno di pandemia, i lavoratori sono sempre andati in fabbrica in sicurezza. Rispettando i protocolli e le norme di distanziamento. Non sono le aziende che devono stabilire chi entra e chi esce». Landini sottolinea due elementi: una scelta come quella ipotizzata da Confindustria la può compiere solo il Governo. Non i datori di lavoro. Il segretario della Cgil sottolinea di essersi vaccinato, quindi la sua posizione non dipende da una linea contraria al vaccino, anzi: «io sono perché tutti si vaccinino», sottolinea. Ma resta contrario all’obbligo di vaccinazione, e soprattutto alle conseguenza ipotizzate sul fronte delle mansioni e della retribuzione. Piuttosto, conclude, Confindustria «si preoccupi di far rispettare gli accordi contro i licenziamenti».
La Cisl a sua volta ritiene che «porre dei vincoli di accesso ai luoghi di lavoro mediante il green pass» non rientri nel perimetro del protocollo fra le parti sociali «ed in ogni caso è una modalità discriminatoria di controllo che non può essere imposta con una circolare alle aziende». Piuttosto, viene rinnovato «alle associazioni imprenditoriali di tornare a condividere un percorso di interventi utili a promuovere ulteriormente le vaccinazioni, nel rispetto delle prerogative individuali e delle leggi dello Stato».