Approvata dalla Camera, con 412 voti a favore, 11 contrari e 44 astenuti (tra cui il gruppo di FdI), la risoluzione di maggioranza sulla proposta di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il Recovery Plan italiano che definisce il programma di investimenti che il nostro Paese intende attuare con i finanziamenti del Next Generation EU per risollevarsi dalla crisi generata dalla pandemia.
Intervenuto in Aula alla Camera il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha definito il Recovery Plan una sfida strategica che ridisegna il Paese. Una sfida organizzativa complessa soprattutto nella fase di attuazione, che esige una visione strategica e una capacità progettuale.
Il ministro assicura che il lavoro di programmazione verrà portato a termine nelle prossime settimane “per renderlo uno strumento per lo sviluppo e il ridisegno del Paese”, da presentare alla Commissione UE entro i termini, previsti per il prossimo 30 aprile.
Da qui a fine mese, spiega Franco, il Parlamento effettuerà un lavoro di sintesi che confluirà nelle relazioni e nelle risoluzioni decisive per la fase finale di definizione del Piano. “Un lavoro ricognitivo approfondito che va assolutamente pienamente utilizzato. Il ministro assicura che c’è “l’impegno del Governo di avvalersi della relazione e di coinvolgere il Parlamento prima della trasmissione alla Commissione Europea”, anche nella successiva fase attuativa del PNRR.
Altra precisazione importante: “i progetti che non saranno inclusi nel Piano non saranno necessariamente accantonati: non solo esistono gli altri strumenti nazionali ed europei ma stiamo anche valutando se istituire una linea di finanziamento ad hoc complementare al PNRR che includa i progetti che pur meritevoli per spirito e finalità ne siano esclusi perché non soddisfano alcuni criteri più stringenti” imposti dall’UE.
Tra gli aspetti cruciali del Recovery Plan ci sono e ci saranno sicuramente scuola, università e capitale umano: “dobbiamo anche nei prossimi anni affrontare le cicatrici che la pandemia ha determinato per i processi di apprendimento che sono stati danneggiati nell’arco di due anni scolastici”, conclude il ministro.