Con il voto favorevole anche in Senato – con 156 voti favorevoli, 140 contrari e 16 astenuti – il Governo Conte incassa la fiducia del Parlamento. Palazzo Madama, dopo una lunga giornata di dibattito in aula, ha dunque concesso all’attuale Esecutivo la fiducia con maggioranza relativa, non assoluta ma sufficiente per far rientrare la crisi e proseguire l’azione del Governo.
Nel suo discorso al Senato, il premier Giuseppe Conte ha risposto ad alcuni punti emersi alla Camera, rilanciando tuttavia la medesima proposta politica: un Governo di fine legislatura, che arrivi quindi al 2023 come da scadenza naturale, con un programma di ampio respiro. Si è rivolto a «forze parlamentari volenterose, consapevoli delle difficoltà che stiamo attraversando e della delicatezza dei compiti. Persone disponibili a riconoscere l’importanza della politica», «formazioni che anche storicamente si collocano nel solco delle migliori tradizioni europeiste: quella liberale, popolare, socialista».
Conte ha corretto il tiro su alcuni punti specifici, ad esempio sottolineando la centralità del Parlamento in materia di riforma elettorale, i commentatori rilevano una maggior asprezza nei confronti di Italia Viva, che ha aperto al crisi di Governo («E’ molto complicato governare con chi dissemina mine»).
Con il voto del Senato, tecnicamente la crisi di Governo è rientrata, l’Esecutivo ha ottenuto la fiducia da entrambi i rami del Parlamento e resta quindi in piedi.
Ricordiamo che la crisi si è aperta quando Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha annunciato il ritiro dal Governo delle due ministre Teresa Bellanova (Agricoltura) e Paola Bonetti (Pari Opportunità), assieme a quella del sottosegretario Ivan Scalfarotto. Il premier ha portato la crisi in Parlamento, chiedendo la fiducia, il 18 gennaio approvata dalla Camera con 321 voti favorevoli, ossia senza maggioranza assoluta (che sarebbe stata pari a 161 voti). In ogni caso, la maggioranza relativa consente al Governo di non dimettersi e chiudere la crisi.