«Siamo di fronte a un grande cambiamento, che il Covid ha accentuato. Bisogna riprogrammare le aziende di conseguenza». E i manager devono attrezzarsi, declinando correttamente i nuovi modelli di business che stanno emergendo: smart working, change management, attenzione alla sostenibilità, digitalizzazione. Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager intervistato da PMI.it, ci parla dei nuovi paradigmi per traghettare le imprese oltre la fase 2 dell’emergenza Coronavirus.
Anche alla luce dei risultati dell’indagine effettuata dalla stessa associazione, in base alla quale i manager ritengono che la sfida principali da affrontare nei prossimi mesi sia legata alla necessità di individuare nuovi modelli di business.
Come fare? Proseguendo su sentieri che in realtà erano già stata intrapresi e che ora vanno consolidati, spiega Cuzzilla, quindi facendo molta formazione e puntando sulle soft skill. «Le hard skill restano fondamentali» sottolinea Cuzzilla, «ma non bastano più. Perché i cambiamenti ormai sono la prassi». E allora cerchiamo di analizzare i nuovi paradigmi che i manager sono chiamati a declinare correttamente in questa fase del new normal.
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Innanzitutto, la sostenibilità ambientale, in tutti i suoi aspetti, «dalla situazione dell’ILVA di Taranto, con le sue complessità, fino all’Amazzonia». Le aziende non possono più sottovalutare la questione dei danni ambientali, anche se questo ha dei costi. «Anche perché spesso l’attenzione a questi aspetti serve per avere i finanziamenti pubblici» dai quali le imprese poco green rischiano di essere tagliate fuori.
Altro tema prepotentemente emerso in questo periodo di emergenza è lo smart working. «Questo è un trend destinato a proseguire», anche se con modalità diverse rispetto a quelle sperimentate nel corso dell’emergenza. «E’ importante anche stare in azienda, la presenza fisica e il rapporto con i colleghi aiutano a crescere». Ma con tempi e modalità diverse da prima. La presenza in ufficio si ridurrà al 50-60% rispetto a come eravamo precedenti abituati, secondo Cuzzilla. Fra l’altro, questo determina un risparmio per le imprese, in termini di spese per gli spazi necessari in ufficio. Ma per i manager, c’è una nuova sfida: «bisogna coinvolgere il personale, trasmettendo una cultura aziendale orientata al cambiamento». Lo smart working «non è una concessione, è un modo di lavorare diverso». Se ben impostato, comporta risparmi per l’azienda e per il lavoratore, anche in termini di conciliazione vita – lavoro.
Il manager deve abituarsi alla «gestione team in smart working». Un conto è dare disposizioni trovandosi nello stesso ufficio, influenzando le persone anche solo con la propria presenza, un altro è impostare un lavoro in smart working. Si passa «dal controllo alla fiducia», tenendo le persone «legate ai risultati». Per farlo, bisogna ad esempio «far capire che l’azienda è presente, far sempre sentire le persone legate all’azienda». Bisogna prestare uno sforzo particolare nel «rispettare la vita delle persone. Per esempio, senza chiamare i collaboratori il sabato e la domenica». In genere, la cultura del management in materia di orario e conciliazione con la vita privata va cambiata. «Le riunioni si fanno alle cinque, non all’ora di cena». Il punto centrale è il seguente: «rispettare le persone, chiedere il giusto, senza invadere la vita privata». E, naturalmente, puntare ai risultati.
Tutto questo rischia di essere più difficile nelle PMI, dove il cambiamento verso lo smart working è stato velocissimo. Le grandi imprese spesso stanno già sperimentando da tempo questo nuovo paradigma, anche riorganizzando le sedi di lavoro, mentre le PMI hanno dovuto adeguarsi in tempi velocissimi, per far fronte all’emergenza Coronavirus.
Un’occasione per valorizzare le competenze femminili, anche a livello manageriale? Questa era già un’evidenza da prima «dove ci sono donne al vertice, o una governance mista, l’azienda funziona meglio. Le competenze femminili aumentano il PIL». Certo, la nuova spinta allo smart working e al welfare aziendale può rappresentare un punto di svolta. «Le donne sono più abituate a una complessa gestione dei tempi, spesso hanno già le soft skill che servono».
C’è una nuova accelerazione sul fronte del digitale, che ormai riguarda tutti gli aspetti dell’organizzazione. Non è più solo questione di abilitare l’e-commerce, o di utilizzare le tecnologie per vendere il prodotto, o per la produzione, ma anche qui bisogna declinare il tutto in ottica di change management, abilitando il cambiamento a 360 gradi. Qui intervengono una serie di altre considerazioni, legate al sistema Italia, che lavora e deve continuare a lavorare sulla qualità. Bisogna ragionare meglio su filiere, scorte, prodotti, semilavorati. Per far crescere il Made in Italy, le imprese, PMI in testa, devono imparare a lavorare insieme. «La sfida è verso l’esterno. O lavoriamo in filiera o non ce la facciamo».
Per quanto riguarda l’insieme di strumenti messi in campo dal Governo per affrontare la fase 1 e 2 della crisi, per il presidente di Federmanager è «nel complesso molto positivo. Ora però bisogna andare avanti».
Per quanto riguarda i finanziamenti, ora è importante spenderli bene. Quindi, «non a pioggia, ma individuando situazioni mirate. L’Italia ha urgente bisogno di un piano di emergenza di investimenti in infrastrutture per la mobilità, la sicurezza, e di una grande e seria manutenzione».
E’ corretta l’attenzione all’impatto sociale. Va fatta una puntuale classificazione su chi può essere aiutato, e su come invece gestire chi non ce la fa più». Il tutto, senza mettere in discussione l’assistenza primaria alle persone. Molto importante anche il ruolo dell’Europa, e qui il Governo «ha gestito benissimo la situazione». Certo, l’Europa ha mostrato debolezze.
Un tema fondamentale da porsi a livello comunitario, secondo Cuzzilla, è quello della sanità. «Quale sanità avremo nel futuro? La moneta è fondamentale, ma la crisi ha dimostrato che lo è anche la sanità». La gestione dell’emergenza sanitaria ha creato problemi, anche economici e sociali. «L’Europa deve risolvere questi aspetti».