Le PMI continuano a puntare sull’export e l’internazionalizzazione, ma restano una serie di ostacoli che spesso per le imprese di piccole e medie dimensioni sono complessi da superare: barriere doganali, conoscenza dei mercati esteri, necessità di professionalità specifiche. Lo segnala un’indagine API, associazione piccole e medie industrie, effettuate sulle aziende lombarde, da cui emerge innanzitutto che la metà delle aziende ha aumentato la percentuale di export rispetto al fatturato (nel dettaglio, il 48%).
Si segnalano, però una serie di fattori critici legati alle attività di internazionalizzazione.
Il primo ostacolo che le imprese segnalano è la difficoltà di individuare partner commerciali, seguita dalla ridotta conoscenza dei mercati esteri. Sul terzo gradino del podio, la necessità di adattare il prodotto al mercato di riferimento in base a specifiche normative nazionali, seguita dalle problematiche relative alle normative e alla contrattualistica locale.
Come si vede, si tratta di ostacoli che sostanzialmente riguardano le competenze necessarie per affrontare l’export e l’internazionalizzazione.
Per quanto riguarda nello specifico la struttura organizzativa, c’è un 41% di PMI che vende direttamente all’estero, il 47% si avvale di distributori, il 12% è presente tramite agenti e solamente un 10% ha sedi produttive o filiali di rappresentanza dirette. Più della metà delle PMI, il 55%, non dispone di un ufficio dedicato alle vendite internazionali, né di una figura specializzata come, ad esempio, l’export manager.
Altro elemento che viene sottolineato, il mercato “estero”, si fa per dire, più frequentato sono i paesi UE, (27%),, seguiti da Asia (18%) e Nord America (12%).
«Gli imprenditori devono andare oltre la vendita nei Paesi europei, oramai mercato domestico», segnala Paolo Galassi, presidente di API, che sottolinea anche come questa operazione (individuazione di mercati al di fuori dell’UE) richieda però una specifica preparazione.
Le PMI italiane hanno diversi punti di forza su cui puntare:
la qualità dei loro prodotti e servizi, un vantaggio competitivo riconosciuto a livello internazionale in numerose industries», la «capacità di adattarsi più rapidamente all’evoluzione dei mercati esteri, grazie alla struttura snella che le contraddistingue.
Gli imprenditori devono fare la loro parte per riuscire a valorizzarsi sui mercati internazionali, ma anche le istituzioni hanno in questo senso un ruolo preciso.
Le richieste al Governo: «una politica industriale stabile e duratura di medio-lungo periodo, che dia agli imprenditori un indirizzo su cui fare scelte di business, avviando interventi strutturali volti alla valorizzazione del brand Italia e alla tutela degli interessi in UE. Questo consentirebbe alle PMI di prevedere una strategia di internazionalizzazione di ampio respiro e di strutturarsi in maniera adeguata e non estemporanea».
Quindi, «maggiori certezze e più incentivi alla realizzazione di progetti quali, ad esempio, trasformazione digitale, formazione e innovazione», e, in generale, strategie che aiutino le PMI a crescere, a maggior ragione in un momento caratterizzato da forti tensioni, «tra dazi, Brexit e il rallentamento dell’economia dei principali partner commerciali».