UE, Italia isolata al risiko delle nomine

di Simone Cosimi

Pubblicato 4 Luglio 2019
Aggiornato 2 Febbraio 2021 22:24

Come ne esce l’Italia a margine delle nomine europee, in vista del voto del 16 luglio: Paese isolato, nulla ai sovranisti, potere ai rigoristi.

Un falco di Angela Merkel (anche se non la sua preferita) alla presidenza della Commissione europea: Ursula von der Leyen. Un nome indipendente e di lunga esperienza e autorevolezza, che almeno all’inizio non potrà non allinearsi alle scelte di Mario Draghi, per la Bce: Christine Lagarde.

Il socialista spagnolo Josep Borrell agli Esteri, il liberale belga Charles Michel – che ha un rapporto privilegiato con il presidente francese Emmanuel Macron – al Consiglio europeo.

Come esce l’Italia dalla settimana di nomine continentali, considerando anche la presidenza dell’Europarlamento al dem David Sassoli? Con i lividi, tenendo presente che quest’ultima scelta è stata fondamentalmente frutto dall’alleanza ridiscussa fra domenica e lunedì fra socialisti, popolari e liberali i cui leader – dopo Von der Leyen alla Commissione – non potevano che lasciare la poltrona più importante di Strasburgo ai primi.

Nulla ai sovranisti, verso i quali i tre raggruppamenti principali hanno giustamente organizzato un blocco assoluto. Non si discute con chi contesta alla radice l’idea di un’unione di pace e sviluppo. Ma occorrerà assegnare loro qualche commissario significativo, per esempio agli Affari interni per la solita propaganda sui migranti.

Il capolavoro è stato senz’altro quello di Macron che – tramontate le ipotesi, piuttosto discutibili sotto l’aspetto democratico, degli spitzenkandidaten Frans Timmermans e Manfred Weber – ha spiazzato i colleghi tirando fuori dal cilindro il nome dell’ex delfina di Frau Angela e tenendo per sé due caselle fondamentali, Bce e Consiglio.

Peccato che la rottura del patto iniziale metta in difficoltà von der Leyen in vista del voto di fiducia del 16 luglio a Strasburgo, dove potrebbe avere bisogno di un sostegno sgradito come quello dei deputati polacchi del Pis di Kaczynski. Se ce la farà, potrebbe mettere in piedi una squadra molto dura, forse perfino più severa di quella attuale guidata da Jean-Claude Juncker, con lo stesso Timmermans e la danese liberale ex commissaria alla concorrenza Margarethe Vestager come primi vicepresidenti responsabili del plotone di commissari economici e finanziari. Se c’è qualcuno felice di questo, in Italia, si faccia avanti perché urge un ricovero forzato.

Il nostro Paese ne esce sostanzialmente isolato.

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Da un lato, è rimasto tagliato fuori dal gruppo di testa franco-tedesco, sostituito dalla Spagna che ormai ci supera in una serie di parametri macroeconomici a partire dal Pil pro-capite. A cui è andato, non a caso, il ruolo piuttosto evanescente dell’Alto rappresentante per la politica estera che in questo anni è stato di Federica Mogherini.

Lo status di Paese fondatore, ormai, ha esaurito i suoi benefici di rendita: ogni credito è stato dilapidato dall’ultimo anno di governo Lega M5S che, ancora oggi, continua a proporre come ministro agli Affari europei un controverso economista no-euro.

Se un filo di influenza politica è rimasta – col Movimento 5 Stelle che dopo aver girato l’Europa in una questua fra i più bizzarri raggruppamenti politici, inclusi i gilet gialli francesi, rimane fra i “non iscritti” – si deve al buon risultato del Pd che ha portato all’assemblea una ventina di parlamentari. L’elezione di Sassoli, eurodeputato molto apprezzato, non si deve dunque al Sistema Italia, che non esiste più, ma al risiko delle nomine e al suo peso maturato in dieci anni di lavoro.

Dall’altro lato Giuseppe Conte, pressato dai suoi vicepremier fracassoni che dovevano invadere l’Europa ma faticano a tenere il timore italiano, ha sabotato insieme agli amici-nemici dei Paesi di Visegrad – quelli che non si prendono un migrante a costo di far saltare l’Unione – la candidatura di Timmermans.

Senza rendersi conto che, dal rimescolamento delle caselle, sarebbe uscito un quadro ancora più complicato. E che a dare le carte, a quel punto, sarebbero stati solo Macron e Merkel, quest’ultima un po’ in contropiede sulla sua ministra della Difesa.

Così è andata e per silurare un socialista alla guida della Commissione l’Italia – che schiva per ora la procedura d’infrazione sul debito solo grazie alla manovrina approvata in fretta e furia – si ritroverà una rigorista tedesca, un accerchiamento francese e una presidenza dell’Europarlamento che Lega e M5S (ma anche Forza Italia) non hanno votato.

Come direbbero a Bruxelles, chapeau.