La risposta italiana a Bruxelles per evitare la procedura d’infrazione si muove su più fronti, politico e tecnico: il premier Giuseppe Conte ha inviato l’attesa lettera alla Commissione UE fornendo rassicurazioni sui conti (ma pochi numeri) e chiedendo una nuova fase costituente che superi rigidità e austerity; il Ministro dell’Economia Giovanni Tria ha invece messo a punto un piano per ridurre il deficit di 8-10 punti senza aumentare il debito.
Sullo sfondo, il Consiglio dei Ministri ha liberato 2 miliardi di euro (da spending review), congelati dall’ultima manovra a garanzia dei conti pubblici. E a ulteriore garanzia della stabilità dei conti si segnalano entrate superiori alle stime (3,2 miliardi in più) non ancora contabilizzate.
Bisogna vedere se basterà all’Europa, che per evitare la procedura di infrazione per debito eccessivo ha chiesto all’Italia dati e numeri certi entro l’Ecofin dell’8-9 luglio.
Al momento, in soldoni, l’unico dato certo sono i due miliardi di tagli ai Ministeri deliberati dal CdM del 19 giugno, mentre le maggiori entrate diventeranno “concrete” solo con il disegno di legge di assestamento di bilancio, verso fine luglio. Sommando anche queste, in ogni caso, sul piatto ci sono solo 5,2 miliardi di euro rispetto ai 30 miliardi che sarebbero necessari.
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La lettera di Conte
Ritengo che sia nostro dovere aprire, adesso, senza ulteriore indugio, una fase costituente, per ridisegnare le regole di governo delle nostre società e delle nostre economie, riconsiderando modelli di sviluppo e di crescita che si sono rivelati inadeguati di fronte alle sfide poste da società impoverite, attraversate da sfiducia, delusione e rancore.
La lettera di Conte è dunque più politica che tecnica. Ma ci sono tutte le rassicurazione del caso sulla ferma intenzione italiana di agire all’intero del quadro delle attuali regole:
non intendiamo sottrarci a tali vincoli, né intendiamo reclamare deroghe o concessioni rispetto a prescrizioni che, finché non saranno modificate secondo le ordinarie procedure previste dai Trattati, sono in vigore ed è giusto che siano tenute in conto dai governi di tutti gli Stati membri.
Ma, «con la medesima determinazione, avvertiamo l’urgenza e la necessità di stimolare una discussione che miri a ridefinire la governance economica dell’Eurozona e dell’Unione, che non si è dimostrata adeguata ad assolvere i compiti per i quali era stata pensata».
In definitiva, «il Governo italiano, secondo gli indirizzi condivisi dalle forze politiche di maggioranza, intende proseguire nel dialogo con le Istituzioni europee. Con lealtà e consapevolezza, esporremo le nostre ragioni, che – ne sono convinto – contribuiranno, se ascoltate senza pregiudizi, a evitare una decisione del Consiglio sull’apertura della procedura per disavanzo eccessivo».
Sul fronte più tecnico, di politica economica, la missiva sottolinea che l’esecutivo prevede, «per l’anno in corso, un saldo di bilancio sensibilmente migliore rispetto alle previsioni formulate dalla Commissione e dallo stesso Governo italiano nel Programma di stabilità».
Nelle competenti sedi tecniche, spiega Conte, «forniremo i riscontri documentali necessari a comprovare questa valutazione aggiornata». «Mi limito qui ad anticipare che la ragione fondamentale dell’andamento positivo dei saldi di bilancio risiede nella prudenza alla quale sono state ispirate le nostre previsioni per le entrate e le uscite di bilancio».
Gli obiettivi 2020 sono «un miglioramento di 0,2 punti percentuali nel saldo strutturale di bilancio».Ribadito l’impegno ad evitare l’aumento IVA «individuando misure alternative idonee a garantire il miglioramento strutturale». E’ in corso di elaborazione «un programma complessivo di revisione della spesa corrente comprimibile e delle entrate, anche non tributarie». La politica di bilancio è «finalizzata a coniugare il sostegno alla crescita con la riduzione del costo del debito, che oggi assorbe quasi il 3,6% del PIL».
Non mancano una serie di critiche all’Europa, sintetizzabili nel seguente principio: l’Italia ha un’economia manifatturiera (la seconda più grande del Vecchio Continente dopo quella tedesca), quindi imposta politiche economiche conseguenti anche sul fronte degli investimenti, mentre ci sono «alcuni Stati membri si affidano a politiche fiscali e commerciali ai limiti delle unfair practices e del dumping fiscale e sociale».