L’export si conferma traino dell’economia italiana, le stime 2019 sono positive ma le imprese devono scegliere con attenzione i mercati di maggior interesse per l’internazionalizzazione, valutandone rischi connessi alle incertezze macroeconomiche (esempio: politiche protezionistiche, Brexit) e potenzialità, con un focus prioritario su Cina, India, Vietnam, Qatar e Indonesia: sono le evidenze del Rapporto Sace – Simest 2019, Export Karma – Export Karma Il futuro delle imprese italiane passa ancora per i mercati esteri.
Per l’export si prevede quest’anno un incremento del 3,4% per le esportazioni (in linea con il +3,1% del 2018) e una ripresa più robusta nei prossimi anni (+4,3% in media nel triennio 2020-2022).
Nelle 20 aree geografiche privilegiate per il Made in Italy, crescerà a un tasso medio annuo del 4,8% tra il 2019 e il 2022, quasi un punto in più rispetto alla media internazionale.
Dove esportare
Sace prevede tassi superiori al 7% in Vietnam, Cina e India, stime positive anche per Indonesia (+5,3%), Kenya e Qatar, Sudafrica. Ecco il quadro preciso, completo di dati sul valore delle esportazione e stime di crescita 2019.
=> Cina, nuova Eldorado per le imprese italiane
Ci sono poi tre mercati chiave su cui puntare in modo mirato, ovvero Brasile, India ed Emirati, sui quali il report fornisce schede e approfondimenti, con testimonianze di aziende e consigli pratici per le PMI. Questi paesi stanno varando programmi di upgrade industriale, miglioramento infrastrutturale e sviluppo urbanistico per sostenere la crescita, dimostrando maggiore apertura alle partnership estere, e secondo il report nel 2022 domanderanno dall’Italia 2,5 miliardi di euro di export aggiuntivo rispetto al 2018.
=> Esportare: l’aiuto arriva da libero scambio e digitale
Settori di punta
Per quanto riguarda i settori, la parte del leone spetta all’agrifood +3,8%, seguito da beni intermedi +3,6% e beni di consumo +3,4%, mentre i beni di investimento sono il fanalino di coda con il 3,1%. Come si vede, si tratta in ogni caso di dinamiche molto simili, comprese in un intervallo fra +3,1 e 3,8%.
Il report presenta dati precisi sui trend attesi per singole attività nei diversi paesi.
Segnaliamo gli approfondimenti legati a due scenari particolari, il primo legato alla cosiddetta guerra dei dazi che ipotizza un rallentamento della Cina e delle economie emergenti, il secondo invece relativo a una “Brexit disordinata” che impatterebbe sulla domanda di Made in Italy nelle economie avanzate.
Fra gli altri driver individuati, interessante quello legato all’aumento dei tassi di urbanizzazione nei prossimi anni, che riguarda in particolare Asia e Africa, e potrà tradursi in nuove opportunità per le imprese italiane di macchinari, apparecchi elettrici, metalli, prodotti chimici e farmaceutici, alimentari e bevande, tessile e abbigliamento.
«L’export italiano ha sempre dimostrato di avere le risorse giuste per affrontare congiunture avverse e complessità e anche questa fase non fa eccezione» spiega Beniamino Quintieri, presidente Sace.
Il punto di forza del Made in Italy è rappresentato da un’offerta di sempre più alta qualità, un «fattore che ci contraddistingue sui mercati esteri e che è strategico in questa congiuntura perché ci mette, almeno in parte, al riparo dalle conseguenze dirette di dinamiche quali la guerra commerciale».