C’è una crescente e diffusa preoccupazione riguardo l’automazione che cannibalizza posti di lavoro. L’immaginario collettivo è colpito dalle notizie su auto senza conducente, attività commerciali che sostituiscono i commessi con schermi touchscreen, processi produttivi completamente automatizzati, algoritmi intelligenti che forniscono traduzioni istantanee, generano articoli redazionali, opere d’arte.
Ma l’economia non registra un boom della produttività trainato dalle nuove tecnologie.
La produttività è un concetto economico di fondamentale importanza per la crescita dell’ economia e del benessere: indica quanto output si riesce a produrre con un’unità di input, che può essere il capitale investito e/o le ore lavorate, mentre l’output è misurato con il fatturato o il PIL di un paese. Se un azienda, un settore, o anche un Paese, a parità di input produce più output rispetto ad altri si dice che l’ azienda, il settore, il Paese sono più produttivi. Oggi la crescita dei salari ristagna e lo stesso vale per la produttività. Un fenomeno che non dovrebbe sorprendere nelle economie come la nostra in cui ci sono molte persone che lavorano con bassi livelli retributivi e occupazioni precarie.
Il nuovo della tecnologia
La minaccia dei robot è reale? O siamo di fronte ad una distorsione cognitiva di massa che ci distrae dai veri problemi del lavoro? In generale, abbiamo troppa nuova tecnologia o troppo poca?
Forse stiamo discutendo di un problema che non abbiamo piuttosto che affrontare una vera crisi che è l’esatto contrario. Negli ultimi 15 anni la crescita della produttività è rallentata, gli investimenti delle imprese sono diminuiti e la crescita dei salari è stata debole. Se la rivoluzione dei robot fosse davvero in corso, vedremmo un aumento delle spese in conto capitale e una crescita della produttività. In questo momento, sarebbe un bel “problema” da gestire. Invece abbiamo la realtà di una crescita stentorea e di livelli retributivi stagnanti.
Non sarà che, invece, il vero problema è che i robot non stanno facendo abbastanza bene e velocemente il loro lavoro?
E’ singolare che da un lato ci sia la diffusa preoccupazione che i robot assumano tutti i nostri compiti, anche con proposte di tassazione degli stessi, e dall’altro ci si lamenti dello stallo della crescita della produttività. Che cosa sta accadendo nel mondo reale del lavoro e delle imprese? Si può sostenere che il rapido progresso tecnologico può convivere con retribuzioni e produttività stagnanti e in calo? Come mai?
Una delle principali spiegazioni del fenomeno viene dal livello della remunerazione del fattore lavoro: i bassi costi di manodopera scoraggiano gli investimenti in tecnologie che riducono la manodopera, riducendo potenzialmente la crescita della produttività. Spesso ci si dimentica che le aziende decidono di sviluppare e utilizzare tecnologie in funzione dei costi che devono affrontare. Spesso lo dimentichiamo quando si parla di automazione.
Oggi, i costi del lavoro sono relativamente bassi. In termini reali, la crescita dei salari è stata quasi impercettibile per la maggior parte della forza lavoro dal 2000 e, in alcuni casi, risale a molto prima. Il valore reale del salario minimo è piuttosto basso rispetto a quello che era mezzo secolo fa. D’altro canto è anche vero che il costo della potenza di calcolo e della memorizzazione dei dati è diminuito molto di più.
Poiché il costo della tecnologia è diminuito più del costo del lavoro, dovremmo aver visto prevalere fenomeni di automazione di massa.
Rivoluzione digitale e capitale umano
Il fattore scarso non è la dotazione di capitale. Ciò che è scarso e costoso è il capitale intangibile necessario per ridisegnare, revisionare, realizzare e gestire i modelli di business, di produzione e di servizio abilitati dalle nuove tecnologie. È complicato immaginare ed orchestrare il funzionamento e l’ operatività di questi sistemi in modo sostenibile e redditizio.
Con la manodopera a buon mercato, ci si trova in una situazione di poca pressione per realizzare questi massicci investimenti in capitale intangibile, che è in gran parte capitale umano, al fine di automatizzare i processi chiave. La manodopera a basso costo sta riducendo l’incentivo a spingere le nuove tecnologie lungo traiettorie virtuose da un punto di vista degli impatti economici e sociali.
La rivoluzione digitale è in parte responsabile dei bassi costi del lavoro, creando un enorme aumento della quantità di manodopera disponibile, ha creato un’abbondanza di lavoro. Una azienda ha molti modi per ottenere il lavoro di cui hai bisogno senza pressioni salariali.
Può ad esempio spostare il lavoro all’estero. La tecnologia ha consentito la crescita delle catene di approvvigionamento globali, che hanno contribuito a portare miliardi di lavoratori a basso salario nella forza lavoro globale. È possibile ristrutturare la propria attività in modi che consentano a pochi lavoratori qualificati di utilizzare la tecnologia per svolgere compiti che prima richiedevano molti lavoratori poco qualificati; oppure si può ristrutturare le attività in modo da ridurre il potere contrattuale dei dipendenti o ridurre gli obblighi nei loro confronti. E, naturalmente, si può automatizzare.
In che modo l’automazione contribuisce a questa abbondanza di lavoro?
La storia economica insegna che a lungo termine la marcia del progresso implica che la tecnologia è stata sempre più capace di sostituire i lavoratori umani in una vasta gamma di compiti. Se alle aziende risulta indifferente l’utilizzo di persone o di macchine, e se le macchine (o il codice) sono abbondanti, l’effetto del progresso è quello di creare una singola massa di “lavoro”, cioè persone e macchine simili alle persone, molto abbondante.
Il circolo vizioso che alimenta le disuguaglianze
Ma oggi c’è un modo più diretto e importante in cui l’automazione genera questa abbondanza. Quando una macchina “spiazza” una persona, la persona non cessa immediatamente di essere nella forza lavoro. In alcuni casi i lavoratori possono transitare facilmente dal lavoro dal quale sono stati “spiazzati” ad un altro. Ma nella maggior parte dei casi questo non è possibile. In generale, i lavoratori “spiazzati” dalla tecnologia tenderanno ad essere quelli ritenuti “marginali” in termini di abilità, esperienza e formazione. Questi lavoratori si trovano in competizione con molte altre persone con livelli di abilità modesti e con la tecnologia, incrementando l’abbondanza di lavoro.
Questo è un punto critico.
Cosa succederebbe se qualcuno domani introducesse un robot che potrebbe fare il lavoro del 30% della forza lavoro? L’occupazione non diminuirà del 30%, perché mentre alcuni lavoratori “spiazzati” potrebbero rinunciare al lavoro e uscire dalla forza lavoro attiva, la maggior parte di essi non potrebbe farlo. Per assicurarsi la sussistenza, la ricerca di altri lavori genera una forte pressione al ribasso dei livelli retributivi, finché i salari non scendono a un livello così basso che le persone rinunciano completamente al lavoro, appoggiandosi a qualsiasi risorsa familiare disponibile, o fino a quando per le aziende non diventa economico assumere persone per fare lavori a bassa produttività.
Data la struttura del nostro welfare, della nostra rete di sicurezza sociale e data l’inadeguatezza delle nostre politiche attive del lavoro l’automazione tende ad aumentare povertà e disuguaglianze.
Queste dinamiche alimentano un circolo vizioso di bassa produttività, bassa innovazione, carente capitale umano e crescente disuguaglianza.
Il circolo vizioso
- l’economia tenta di assorbire lavoro relativamente indifferenziato, i salari ristagnano o cadono e diventa economico assumere persone per lavori a bassa produttività.
- l’occupazione in lavori a bassa produttività si espande, influenzando i dati sulla produttività aggregata.
- l’abbondanza di manodopera e le pressioni al ribasso sui salari riducono l’incentivo ad investire in nuove tecnologie per risparmiare lavoro.
- Le aziende non rinnovano e automatizzano e la produttività all’interno dei settori cresce più lentamente di quanto potrebbe.
- non si diffondono nuove tecnologie perché il lavoro è a buon mercato, non si ottengono tutte le modifiche e le innovazioni radicali
- la creazione e l’accumulo di capitale intangibile che contribuisce alla crescita della produttività è minimo e comunque insufficiente allo sviluppo di nuovi ruoli professionali e dell’occupazione di qualità
- l’abbondanza di lavoro riduce il potere contrattuale dei lavoratori che si trovano a ricevere una quota di reddito in declino e non sono in grado di negoziare cambiamenti che potrebbero mitigare una fase di transizione che ha caratteri epocali.
- bassi salari e una diminuzione della quota di manodopera qualificata portano a squilibri macroeconomici perché più risorse si concentrano nelle mani di chi ha un’elevata propensione al risparmio, mentre diminuisce la propensione ad investire
- una domanda e consumi interni cronicamente deboli peggiora le condizioni di vita dei lavoratori e genera ristagno della produttività.
- La bassa produttività non genera risorse adeguate ad alimentare processi di redistribuzione del reddito e ingessa le politiche fiscali.
Il miglioramento dei livelli di occupazione relativamente dequalificata con una crescita debole di salari e di produttività non sono la prova di progressi tecnologici diffusi e dirompenti; significa che stiamo imboccando un futuro del lavoro, in particolare per le nuove generazioni, che porta ad una vita di povertà e disuguaglianze crescenti.
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Articolo di Paolo Marizza, Co-founder Innoventually, Adjunct Professor Deams UniTS