Quando l’innovazione e la tecnologia incontrano il design e il saper fare del Made in Italy, succede che un’azienda produttrice di materie plastiche festeggi i cent’anni inventandosi nuovi materiali per gli oggetti 3D, che mobili fatti su misura finiscano negli uffici dei grattacieli di Mosca, che da uno studio della Nasa sull’inquinamento nasca un vaso purifica l’ambiente domestico intorno al quale si sviluppa una nuova impresa. Oppure che dagli scarti delle poltrone più famose nel mondo nascano nuovi rivestimenti.
Il settore dell’arredamento e del design, fiore all’occhiello del Made in Italy, negli ultimi anni ha presentato numeri in crescita, anche grazie agli incentivi, in primis il bonus mobili.
Ma, come del resto l’intero manifatturiero Made in Italy, si trova davanti alla sfida delle tecnologie e dell’industria 4.0: domotica, casa intelligente, su misura, sono tutti nuovi paradigmi che il mercato impone di affrontare. L’innovazione riguarda il prodotto e il processo, due fasi sempre più connesse, con un meccanismo che fino ad oggi apparteneva esclusivamente al segmento del lusso (prima l’ordine, poi la produzione).
Un esempio emblematico del trend è la piattaforma britannica Opendesk: progetti di mobili online, che il cliente può scaricare e far realizzare da un maker. Come vedremo, il legame fra i fablab (i laboratori degli artigiani digitali), e l’impresa tradizionale è una delle strade che le imprese italiane del settore stanno percorrendo.
Ciceri de Mondel è un’azienda che ha recentemente festeggiato i 100 anni. Nata nel 1917 producendo medaglie, nel corso degli anni si è più volte aggiornata, passando alle minuterie metalliche, alle cornici e, negli anni ’80, all’estrusione delle materie plastiche. In termini semplici, produce lastre che vengono poi impiegate nell’industria (anche dell’arredamento). La svolta digitale arriva nel 2013: «mio marito – racconta Luciana Ciceri, titolare, quarta generazione di imprenditori – è un ingegnere e un maker, e si è sperimentato con la stampa 3D a filo. Ha iniziato a sperimentare un estrusore da laboratorio per fare il filamento».
Così è nata FiloAlfa, un nuovo marchio (che affianca la produzione tradizionale di lastre), e che sta andando molto bene. «Oggi siamo un brand italiano leader nel settore del filamento per stampanti 3D e stiamo facendo i primi passi verso l’estero». Grazie a FiloAlfa «abbiamo incontrato il mondo del design, dell’arte, della progettazione, dell’università».
In pratica, l’azienda produce la materia prima per la stampa 3D, che varia per colori e per polimero. Detto in modo molto semplice, FiloAlfa fornisce “il colore” e il materiale al progettista e all’artigiano digitale, che lavorano a stretto contatto.
Luciana Ciceri esprime con immediatezza la sua vision dell’artigianato digitale: «la stampa 3D fornisce all’artigiano digitale la possibilità di sperimentare in maniera molto veloce, perchè il designer realizza il suo disegno, esattamente come faceva anche 20 anni fa. Ma ora lo stampa con tempi e costi ridottissimi. E quindi, anche con tentativi successivi, perfeziona il proprio progetto. Questo permette una velocità e una libertà che prima non era possibile». Poi insiste su un punto: «l’idea del designer senza il materiale giusto vale meno».
Dalla teoria alla pratica, rappresentata da una lampada, realizzata da uno studio di architetti, Brignetti Longoni Design Studio, in collaborazione con FiloAlfa, che verrà presentata al Salone del Mobile 2019. Si chiama Mobius e viene così descritta da Luciana Ciceri: «è un nastro senza fine che si intreccia, una forma che non sarebbe possibile realizzare in pezzo unico con una lastra tradizionale. Utilizzando ad esempio l’alluminio, bisognerebbe girarla, realizzarla e saldarla. Con la stampa 3D, i designer hanno realizzato un oggetto unico, che si illumina offrendo giochi luce molto particolari». La lampada è ancora in fase di lavorazione, ne esiste già un esemplare piccolo esposto al Siam di Milano (società d’incoraggiamento arti e mestieri).
Un’altra storia di successo è rappresentata dall’Umarell del Fablab, realizzato sempre con FiloAlfa. L’innovazione qui è di prodotto e di processo: «avendo messo il piedino nell’Industria 4.0 come fornitori, ci è venuta voglia di applicarlo anche alla nostra produzione. L’impianto FiloAlfa è 4.0, interconnesso, e ora stiamo valutando il salto anche per i nostri impianti tradizionali».
La storia è emblematica perché con un’azienda solida alle spalle siamo riusciti a creare la nostra piccola startup (in realtà è una business unit). Che poi ci ha aiutato parecchio in un momento di calo di fatturato, dandoci una boccata d’ossigeno.
Dalla stampa 3D al lusso su misura con Tecnolegno che invece,per produrre allestimenti fieristici e mobili di alta gamma sta digitalizzando tutti gli impianti. «Noi siamo un’azienda che fa soprattutto contract, nei settori dell’arredo e dell’allestimento fieristico». I clienti, per intenderci, vanno da Ferrari a Damiani e Cnh. Grandi brand internazionali, che fanno progettare gli arredi di cui hanno bisogno da importanti studi di architettura.
Tecnolegno si occupa di farli diventare realtà. «Da noi non si compra un pezzo di legno, ma un pezzo della nostra storia, del nostro sapere, dell’innovazione che trasmettiamo in ogni prodotto» spiega l’imprenditore, Claudio Radice. Tecnolegno ha più di 60 anni di vita, nata nel 1956 dall’idea, e dal saper fare, di un artigiano – imprenditore, Massimo Nava. La vision imprenditoriale, portata avanti dagli attuali titolari, Claudio Radice e Giovanni Vita, è sintetizzata nelle 3P di persone, passione e professionalità. «Noi realizziamo prodotti esclusivamente su misura in un impianto con caratteristiche industriali», spiega Vita.
L’impresa ha acquistato nuove macchine interconnesse, utilizzando gli incentivi 4.0. Il nostro sistema, sintetizza Radice, deve «mettere in comunicazione l’ufficio tecnico, che sviluppa con software 3D l’oggetto da realizzare, e il laboratorio che li produce. In pratica, il disegno viene interpretato dalla macchina, nel senso che il software di disegno deve colloquiare con il software produttivo». Ma, interviene Vita (e qui torniamo alle tre P), «noi al centro mettiamo sempre l’uomo, le persone.
Abbiamo iniziato a fare alternanza scuola-lavoro ben prima del piano industria 4.0». Ad esempio, con l’istituto Meroni di Lissone «abbiamo un accordo decennale per alternanza scuola lavoro», che prevede un percorso completo, con borse di studio, tutor, possibilità di contratto di lavoro. «Diamo una borsa di studio al miglior studente del primo, del terzo e del quinto anno, e l’opportunità di un contratto a termine di sei mesi». Sempre con la stessa scuola, c’è un progetto per il Salone del Mobile, che ogni anno propone un tema da sviluppare per gli studenti. «Noi produciamo a nostre spese un progetto, investendo migliaia di euro, lo portiamo al Salone, e alla fine lo mettiamo in produzione. Con il ricavato, diamo una fee allo studente e all’istituto».
L’azienda, attraverso Tecnolegno hub, fornisce formazione continua a tutti gli impiegati: «le nostre maestranze si aggiornano costantemente, devono essere in grado di parlare le lingue, perché i clienti sono soprattutto internazionali, di controllare le macchine da remoto». E di affrontare continuamente le nuove side che la realizzazione del su misura impone.
«Stiamo realizzando l’ufficio di un top executive in un grattacielo a Mosca. Ci sono dei pezzi tridimensionali, pannelli rivestiti con impiallacciature particolari, ognuno dei quali è fatto costruendo uno stampo, che viene realizzato solo per quel pannello. Tenete presente che normalmente uno stampo si utilizza per centinaia o migliaia di pezzi».
Il rapporto virtuoso fra università e imprese, uno dei paradigmi fra l’altro del Piano Industria 4.0, è testimoniato anche da Poltrona Frau, azienda che certo non ha bisogno di presentazioni, con il progetto Seconda pelle». In collaborazione con l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino, sono stati coinvolti 60 studenti del corso di laurea in design che hanno dato vita a nuovi materiali partendo dagli scarti della lavorazione della pelle utilizzata dall’impresa: intonaci, pannelli fonoassorbenti, colori da applicare con pennelli, sono stati il risultati di diversi processi di lavorazione. Tutto all’insegna del riciclo (altro paradigma dell’innovazione), quindi di un approccio etico e sostenibile.
Da un marchio storico del Made in Italy a una startup creata da tre amici (Alessio D’Andrea, Vincenzo Vitiello e Paolo Ganis), che hanno raccolto 260mila euro con un’operazione di crowdfunding, prima di ricevere un finanziamento da 2 milioni di euro dall’Unione Europea e attirare venture capitalist dalla Silicon Valley. Sono partiti da uno studio della Nasa sull’inquinamento, e abbinandoci la passione per lo studio a quella per il design e l’ambiente hanno creato Clairy, un purificatore d’aria naturale senza filtri per interni, che abbina benessere e design. Clairy è un oggetto, per la precisione un vaso, che è in grado di purificare l’aria. Grazie a sensori e tecnologie IoT (Internet delle cose), monitora il livello di inquinamento dell’aria e la purifica, e comunica all’utente quando bisogna cambiare l’acqua alla pianta. Oggi Clairy ha sedi a Milano e Pordenone, 16 dipendenti.