La procedura di infrazione che l’Unione Europea ha annunciato nei confronti dell’Italia – sulla base del documento programmatico di Bilancio 2019 che sfora i parametri – prevede un iter a step, che possono culminare in pesanti sanzioni a carico dello stato membro inadempiente. La violazione, in base alla quale questa procedura scatta, è prevista dall’articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, in base al quale:
gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi.
Due sono i criteri che la commissione deve monitorare: ilrapporto deficit/PIL e il debito pubblico (sempre in rapporto al PIL).
- Per quanto riguarda il deficit, il valore di riferimento è il 3%, che non può essere superato a meno che non ci sia comunque una diminuzione sostanziale e continua, con il raggiungimento di un livello che si avvicina al valore di riferimento. Oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e resti comunque vicino al valore di riferimento.
- Il problema dell’Italia in ogni caso non riguarda il deficit (che è previsto al 2,4% nel 2019) ma il debito, che è sopra il “valore di riferimento”, pari al 60% del PIL. In questo caso, la norma prevede un tasso di riduzione pari a un ventesimo all’anno nella media dei tre precedenti esercizi. Ed è questo il caso dell’Italia, il cui debito è ben al di sopra del limite (per il 2019 è previsto dal DEF al 130%), e non si riduce in maniera coerente con la sopracitata regola.
«Se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione» si legge nel Trattato Ue, relazione che deve tener conto di una serie di fattori, come «l’eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti», o altri elementi significativi, «compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro».
In ogni caso, se la Commissione ritiene che ci sia il rischio di un disavanzo eccessivo‚ «trasmette un parere allo Stato membro interessato e ne informa il Consiglio». Ed è questo il punto a cui siamo arrivati il 21 novembre scorso (anche se, lo ripetiamo, il problema non è il disavanzo ma il debito).
Come si vede, non si tratta ancora dell’apertura della procedura d’infrazione vera e propria, che non spetta all’esecutivo comunitario bensì al Consiglio, composto dai capi di stato e di governo degli Stati membri. Il primo appuntamento utile per discuterne, potrà essere rappresentato dall’Ecofin del 22 gennaio (la riunione dei ministri finanziari degli Stati Ue).
In ogni caso, al momento è tutto fermo fino all’approvazione definitiva della manovra di Bilancio, che potrebbe contenere novità utili ad evitare la futura procedura.
Nel caso in cui alla fine il Consiglio decida (su proposta della Commissione e considerate le osservazioni che lo Stato membro interessato ritenga di formulare) che esiste un disavanzo eccessivo, adotta le raccomandazioni che la Commissione ha formulato nei confronti del paese (in questo caso, l’Italia) chiedendo di risolvere le situazione entro un determinato periodo (da tre a sei mesi).
A questo punto, la Commissione torna ad esaminare la situazione e ne informa il Consiglio. Che può chiudere la procedura, nel caso in cui il paese sia rientrato nei target previsti, oppure procedere con l’iter di infrazione, con una serie di azioni che possono arrivare anche alle sanzioni (dallo 0,2 allo 0,5% del pil, che significa dai 4 ai 9 miliardi di euro).