Alla deadline dell’Europa l’Italia risponde formalmente con un poco gentile “vade retro”, segnando la nostra sorte in politica economica almeno per i prossimi due anni. In realtà, quei numeri inclusi nella manovra di bilancio, fuori da ogni logica secondo Bruxelles e tutti i 26 Paesi membri, dovremmo rivederli, eccome: non perché ce lo chiedano Juncker e Moscovici ma perché ne va della tenuta del Paese. D’altronde, pensare come fanno M5S e Lega che con una commissione Europea più vicina alle istanze sovraniste possano saltare i fondamentali economici dell’Unione è poco più di un gioco per ingenui elettori.
L’Istat, per esempio, è appena tornata a rilevare come il PIL di quest’anno non centrerà l’obiettivo dell’1,2% previsto nella nota di aggiornamento al DEF varata dall’esecutivo di Giuseppe Conte, dal momento che servirebbe un +0,4% nel quarto trimestre dell’anno. Il 2019, per cui invece il governo stima una salita dell’1,5%, andrà ancora peggio sulla scia di un ultimo periodo dell’anno che segnerà probabilmente l’ingresso in recessione. Il terzo trimestre, come noto, ha invece certificato la stagnazione dell’economia tricolore.
Le previsioni Istat la vedono brutta. Gli indicatori fanno segnare ulteriori flessioni prefigurando una persistente “fase di debolezza del ciclo economico”. Tradotto? Quei numeri indicati da Conte su pressione delle promesse elettorali di Luigi Di Maio e Matteo Salvini non consentiranno di rispettare i saldi di finanza pubblica non tanto quest’anno quanto a partire dal 2019. Il reddito di cittadinanza, per esempio, varrebbe appena lo 0,2-0,3% di crescita del PIL. E manterrebbe per giunta un problema di equità rispetto a chi possiede l’abitazione in cui vive e chi è in affitto.
Quanto alle aziende, l’Istituto di statistica dice che salirà l’Ires del 2,1% in media perché:
l’introduzione della mini-IRES (-1,7%) non compensa gli effetti dell’abrogazione dell’ACE(+2,3%) e della mancata proroga del maxi-ammortamento (+1,5%).
Solo due dei mille punti appesi della legge di Bilancio. Fuori dagli specifici provvedimenti, comunque, come potrebbe fare il tribolato ministro Giovanni Tria a cavarsela di fronte a Bruxelles, sulla cui testa pende la spada di damocle della lettera degli ispettori del Fondo monetario internazionale? E tutto questo mentre in Parlamento si sta valutando e votando un disegno do legge di bilancio che a questo punto potrebbe contenere numeri a sballati.
=> Legge di Bilancio 2019 alle Camere, le misure
Scenario 1
Il primo tentativo sarebbe quello di rivedere la stima di crescita dell’1,5%, ripiegando su una proiezione più compatibile con quello che tutti gli enti, gli analisti e gli indicatori – non solo l’Europa, anche l’Ufficio parlamentare di bilancio – ci dicono. I vicepremier non vogliono sentirne parlare. Tuttavia i numeri non si possono schivare con tanta facilità e i problemi rischiano di esplodere fra pochissimi mesi. A partire dalla procedura europea d’infrazione che scatterà fra una settimana commissariandoci di fatto.
Scenario 2
Il secondo tentativo potrebbe essere una sorta di previsione di una manovra bis. Cioè l’introduzione nella legge di Bilancio di una clausola che scatterebbe solo nel momento in cui il rapporto deficit-Pil salisse davvero sopra il 2,4%. Magari fino a sfondare già dall’anno prossimo il tetto del 3% stabilito dal Trattato di Maastricht. Scenario che molte fonti – fra cui le ultime previsioni pubblicate in settimana da Bruxelles – temono fortemente.
Scenario 3
La terza strada è già tracciata nella manovra, dove le indicazioni attuative di reddito di cittadinanza e quota 100 per la pensione non ci sono. Ci sono i soldi, certamente, ma non vincolati: se le cose non andassero per il verso previsto da Conte e colleghi, e la situazione economica deteriorarsi nell’arco di poco tempo, potrebbero anche essere spostati al taglio del deficit-Pil in attesa di trovarne di nuovi per dare pieno avvio a quei due provvedimento a 2019 inoltrato. Se non oltre. Ma un rinvio sine die aprirebbe ovviamente un cataclisma politico.