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Da decreto fiscale a complotto politico

di Barbara Weisz

18 Ottobre 2018 14:31

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Di Maio accusa gli alleati di maggioranza di aver cambiato il testo del decreto fiscale, inserendo un condono sugli investimenti all'estero, tutti smentiscono, la polemica rientra.

Quando la realtà supera la fantasia, succede che un viceministro di un Governo che ha appena approvato sul filo di lana la sua prima manovra economica accusi qualche “manina” (di chi, ancora non è chiaro) di aver cambiato il testo del decreto fiscale collegato, approvato dal consiglio dei ministri e spedito al Quirinale. Salvo poi scoprire che alla presidenza della Repubblica non è arrivato neppure il testo della Legge di Bilancio. Al massimo, par di capire, una bozza informale, per consentire al presidente Mattarella di visionarne le linee generali. E in ogni caso senza nessuna modifica rispetto al testo approvato in CdM.

Insomma, alla fine sembra non sia successo niente: la pace fiscale non prevede nessun condono per immobili e attività finanziarie all’estero (sarebbe questo l’intervento della manina) e il decreto si configura esattamente come deciso in Cdm.

Ma la polemica c’è stata e, pur se sottotraccia, continua con l’intervento del premier Giuseppe Conte, da Bruxelles per i vertici dell’Eurogruppo, che si impegna a rivedere personalmente il testo prima di spedirlo al Colle.

Se non fosse una questione delicata, sarebbe a dir poco ridicola. Stiamo parlando di un premier che (ufficiosamente, s’intende) leggerà personalmente il testo di una legge collegata alla manovra di bilancio appena approvata dal suo Consiglio dei Ministri. Qualche malizioso potrebbe chiedersi per quale motivo non succeda di default che i testi approvati dal Governo siano poi quelli che effettivamente inviati al Quirinale, e che il premier (e anche tutti i suoi ministri) li conoscano benissimo.

L’improbabile querelle nasce da un’invettiva del vicepremier, Luigi Di Maio, che durante la puntata di Porta a Porta di mercoledì 17 ottobre insorge, minacciando una denuncia alla Procura della Repubblica contro ignoti, che avrebbero manomesso il testo del decreto fiscale inviato alla firma del presidente della Repubblica. Di Maio rispolvera il complotto ai danni del Movimento 5 Stelle (evidentemente, trattandosi di materia che riguarda una maggioranza formata da due sole forze politiche, si deve intendere che il complotto sarebbe di stampo leghista).

Da qui si passa al grottesco, con il Quirinale costretto a sottolineare che «il testo del decreto legge in materia fiscale per la firma del presidente della Repubblica non è ancora pervenuto al Quirinale». Dunque, niente manina ma anche niente testo!

A gettar acqua sul fuoco ci pensa infine Palazzo Chigi, facendo sapere che il premier ha bloccato il testo del decreto e non lo invierà al Quirinale prima di averlo letto con attenzione. Per fortuna che almeno il premier li legge, i decreti, penserà adesso il normale cittadino.

La ricostruzione più probabile della vicenda indica che potrebbe esserci un testo inviato, in via informale, al Colle dai tecnici del ministero dell’Economia. E’ vero oppure no? E cosa c’era scritto su questo testo in materia di condono fiscale? In realtà, a ben vedere, non sono queste le domande giuste. Il normale cittadino, davanti a cotanto dibattito, è probabilmente più portato a chiedersi cosa succede nei consigli dei ministri. Almeno in quelli fondamentali che danno il via alla sessione di bilancio. Come è possibile che ci sia anche solo il dubbio che i testi approvati non siano quelli effettivamente scritti nelle leggi. Come è possibile che per rassicurare il vicepremier sulla fedeltà degli alleati di maggioranza la presidenza del consiglio sia costretta a improbabili precisazioni come quella che assicura l’intenzione del premier di leggere con attenzione le leggi?